Sinistra democratica per il Socialismo Europeo è un movimento politico organizzato che si richiama agli ideali del socialismo e alle tradizioni culturali della sinistra che hanno contribuito alla fondazione della Repubblica democratica. L'obiettivo di avviare un ampio processo unitario, che in prospettiva coinvolga tutta la sinistra italiana nella costruzione di una nuova più grande forza politica, costituisce la ragion d'essere del movimento.

domenica 23 novembre 2008

Commissione d'accesso al comune di Lauro reazioni/2


La notizia della nomina di una Commissione di accesso al Comune di Lauro, non giunge inattesa, in considerazione delle vaste e penetranti indagini svolte dalla DDA di Napoli e dal P.M. dr.ssa Troncone che proprio nei giorni scorsi aveva parlato di gravi condizionamenti da parte della criminalità organizzata sui nostri enti locali. Purtroppo l’inchiesta dopo Pago ha investito anche Lauro che una volta era faro di civiltà, mentre ora sta divenendo un esempio di pessima gestione della cosa pubblica, per come vengono gestiti settori vitali dell’amministrazione locale ad iniziare dall’urbanistica e degli appalti pubblici che ben avrebbero potuto essere al centro degli appetiti dei clan. A ciò si sommano anche le gravi problematiche come la gestione finanziaria e quella del personale, affrontata con gravissime irregolarità. Sarebbero auspicabili gesti ed iniziative di grande responsabilità da parte del sindaco e della giunta. Finora però abbiamo assistito ad una gestione meramente strumentale dei pubblici poteri. Ed anche in questo frangente pare che il sindaco, piuttosto che preoccuparsi della gravità della situazione, abbia pensato di sanzionare l’assessore dr.Trione, revocandogli la delega dopo che si era astenuto nella delibera sulla mobilità proponendo un contratto di solidarietà tra i dipendenti.
Pasquale Colucci

Commissione di accesso al comune di Lauro, le reazioni/1


La nomina della Commissione d’accesso al Comune di Lauro, disposta dalla prefettura di Avellino non ci lascia sgomenti e impreparati. Ormai da tempo che questo movimento aveva denunciato le storture della macchina amministrativa lauretana. Unitamente ad alcuni esponenti della società civile lauretana avevamo denunciato le presunte illegalità nelle pratiche amministrative, le irregolarità in ambito finanziario e della gestione del personale, avevamo denunciato la crescente cementificazione,settore produttivo per i clan. Già con le interrogazioni dell’onorevole Auriscchio avevamo portato alla ribalta le situazioni gravi e preoccupanti del nostro ente, e ultimamente durante il seminario provinciale del nostro movimento dedicato a questi temi forte era stata la denuncia e il grido di dolore lanciato dal consigliere di minoranza Pasquale Colucci. Non ci hanno fermato le intimidazioni, non ci hanno fermato le querele, non ci hanno fermato gli innumerevoli insulti volgari e violenti di qualche politicante durante i consigli comunali, oggi chiediamo a gran voce che la politica, la magistratura, le istituzioni facciano la loro parte per risollevare la nostra zona. Adesso non serve attendere le conclusioni della Commissione ma rimboccarci le maniche e lavorare ad una vera alternativa a questa gestione scellerata della cosa pubblica. La moralità deve essere recuperata in tutta la nostra valle,. Sinistra Democratica fa appello a tutte le forze sane del territorio affinchè si avii una grande campagna di mobilitazione, di impegno per rialzare la testa, riprenderci il nostro territorio, la nostra vita.

Le decisioni della prefettura


Vallo di Lauro sotto la lente di ingrandimento del Ministero dell’Interno. Il rischio di infiltrazioni camorristiche nella gestione della cosa pubblica ha determinato, nel giro di un paio di mesi, la nomina di due commissioni di accesso, prima a Pago del Vallo di Lauro, nei giorni scorsi a Lauro. In quest’ultimo comune la commissione sarà composta dal viceprefetto Mario La Montagna, dal funzionario della prefettura di Napoli Salvatore Carli, dal dirigente del commissariato di polizia di Lauro Raffaele Monda, dal tenente colonnello della guardia di finanza di Avellino Maurizio Guarino, dal tenente della Compagnia di Baiano Rosario Basile, dal funzionario del provveditorato alle opere pubbliche Gennaro D’Onofrio. Questi dovranno, nei prossimi 60 giorni, verificare e valutare la documentazione amministrativa prodotta dagli uffici comunali, ed infine stilare una relazione conclusiva. Nel caso dovessero trapelare elementi di fondato sospetto, si andrebbe allo scioglimento per infiltrazione camorristica. Per Pago la relazione conclusiva sarà stilata già a dicembre. Per Lauro, il provvedimento della prefettura autorizzata dal Ministero dell’Interno con decreto, arriva in un periodo di forte tensione per l’amministrazione comunale, già alle prese con la spinosa vicenda della mobilità di sei dipendenti comunali e con l’assurdo episodio dell’aggressione all’ex vicesindaco ed attuale presidente del consiglio comunale Antonio Bossone da parte di un dipendente. Ora la commissione d’accesso, che segue le dichiarazioni rese dal pubblico ministero Troncone, magistrato da giovedì in servizio alla procura di Nola come procuratore aggiunto, sul pericolo di influenza dei clan nella gestione delle attività pubbliche. Sicuramente le dichiarazioni del magistrato, da anni impegnata sul campo nella lotta ai clan lauretani, mettono in luce la particolare condizione del Vallo di Lauro, i cui comuni hanno subito e forse tuttora subiscono l’ammorbante influenza dei Cava e dei Graziano. Quindici fu il primo comune d’Italia ad essere sciolto per camorra nel 1983 da Pertini; poi fu sciolto ancora nel 1985, nel 1993 e nel 2002. Pago assistette allo scioglimento anticipato per camorra nel 1993. Ora il Ministero dell’Interno invia due commissioni d’accesso, che confermano come l’efficace e costante opera di contrasto ai clan, che partendo dalle inchieste della procura di Avellino ha portato a decimare Cava e Graziano con arresti e sequestri, viene ora supportata da una indagine a 360 gradi anche sulla amministrazione delle comunità lauretane.

lunedì 20 ottobre 2008

Idee d'Irpinia : Legalità e questione morale l'intervento di Pasquale Colucci

Legalità e questione morale non sono due concetti, non sono due questioni, ma solo due aspetti della stessa questione. Chi si occupa del bene comune in quanto funzionario o in quanto politico ma anche il semplice cittadino, ha, nel suo agire quotidiano, due possibilità: o assumere la legalità, il rispetto delle regole come proprio principio ispiratore, oppure avere come proprio unico imperativo quello della realizzazione del proprio interesse, al di là ed al di fuori di ogni regola. E pare del tutto ovvio che porre come fondamentale principio quello di perseguire i propri interessi indipendentemente dalle regole, costituisce l’abiura di ogni principio morale.
Ma per comprendere bene e da vicino perché, per la questione legalità, per la questione morale, l’Irpinia sia ad un bivio, appare significativo illustrare la situazione del Vallo di Lauro, una delle aree marginali di questa provincia che pur vantando nobili passati ed importanti tradizioni culturali è divenuta purtroppo tristemente famosa per la presenza pervasiva della criminalità organizzata. Si potrà così capire com’è articolata, come si alimenta, quali effetti produce la situazione tale presenza.
Gli esordi: sembrava quasi una vicenda folkloristica, con ricercatori venuti dal nord Europa a studiare il caso di questa famiglia stretta intorno ai suoi capi ad amministrare un paese e ad imporre le propri leggi a tutta una comunità.
Il passaggio da una dimensione paesana a vera e propria holding ma soprattutto l’origine dei cruenti scontri significativamente coincide con l’arrivo dei fondi per la ricostruzione e gli interventi per il fabbisogno abitativo del post-sisma. Fu allora, a metà degli anni ’80 che scoppiò la prima guerra di camorra tra i clan Graziano e Cava nel Vallo di Lauro, costringendo il presidente della Repubblica Sandro Pertini al ricorso per la prima volta allo strumento dello scioglimento dell’amministrazione civica, evento poi purtroppo ripetutosi diverse volte. Già all’epoca Quindici era una singolarità assoluta a livello nazionale che non si registrava neppure nella Sicilia dei Liggio e dei Riina; neppure a Corleone infatti il capo del clan era anche il capo dell’amministrazione comunale come era Raffaele Graziano. Ma c’era una ragione che giustificava quella particolarità ed erano appunto i fondi che l’ente pubblico amministrava. I nostri enti pubblici sono tuttora le maggiori aziende che insistono sul territorio per fondi, interessi e personale amministrati.
E di fatti la storia si ripete, allorquando arrivano i fondi per la messa in sicurezza del territorio a seguito dell’emergenza frane del 1998.
E’ questa grande disponibilità di fondi pubblici che ovviamente stimola gli appetiti dei clan. Bisogna infatti pensare che solo per i primi interventi di messa in sicurezza del territorio del comune di Quindici furono messi in bilancio dal Commissariato Straordinario per l’emergenza frane qualcosa come 100 miliardi di vecchie lire, circa 50 milioni di correnti €uro
Ma ovviamente la criminalità non si accontenta di attendere i grandi eventi che possono portare grandi profitti.
Ed infatti cerca di guadagnare anche attraverso attività per così dire più tradizionali ed ordinarie in primo luogo le estorsioni che sono concentrate per lo più sull’unico settore per così dire produttivo che ha fatto registrare una certa espansione, quello dell’edilizia. Ed infatti se si fa una passeggiata nel Vallo di Lauro con un minimo di spirito di attenzione si comprende che la SS 403, un tempo arteria di collegamento del Vallo di Lauro con la terra di Principato Ultra, nel suo tratto di valle è diventata una strada urbana con edifici che sorgono a destra e sinistra, dove i tratti rimasti inedificati sono pochissimi. Non a caso qui l’edificazione è avvenuta al di fuori di ogni puntuale pianificazione urbanistica. Sembra che all’inizio i clan avessero addirittura sperimentato un sistema per tenere sotto controllo questo particolare settore, approntando una postazione a margine della strada dalla quale conteggiavano tutti gli autocarri e le betoniere che transitavano nel Vallo, imponendo un pizzo per ogni carico di cemento che scaricavano. Ma era solo un modo, perché non è mancato il ricorso al più tradizionale sistema del pizzo sul cantiere.
Ed è un sistema che ha fruttato, e molto anche. Ricordo che quando ero consigliere provinciale e pensammo di proporre anche un’alternativa sociale a Quindici, allestendo il patto con Rimini, un esponente del clan Graziano avvicinò il nostro presidente dicendogli: “presidente, voi a Rimini ci andate adesso, noi abbiamo investito lì da anni”. Avevano già all’epoca, oltre dieci anni orsono, rastrellato tanto danaro da estorsioni ed altre attività illecite da riciclarlo anche a Rimini.
Insomma, un’attività altamente redditizia, che porta importanti profitti. E se è questa la situazione ancor meglio si comprende come il praticare l’illegalità, il superare senza tentennamenti i limiti fissati dalle regole, costituisce una scelta che ti garantisce vantaggi altrimenti insperati. Ed è questo ciò che oggi maggiormente deve preoccupare. Perché il sistema dell’illegalità quando non è efficacemente contrastato e quando produce i risultati utili a chi lo pratica, genera facilmente emulazioni in tutta la società E’ una condotta che proprio perché “premia” e proprio in quanto non efficacemente contrastata ha fatto i suoi proseliti anche in altri settori.
Ad esempio quello dell’infortunistica stradale. Non è più un mistero per nessuno che presso l’Ufficio del Giudice di Pace di Lauro vengono introdotti ogni anno centinaia e centinaia di processi aventi ad oggetto sinistri stradali per gran parte dei quali è addirittura gioco forza immaginarne la non veridicità, se si tiene conto di quanti sono gli abitanti e quante le auto in giro, quanti sono i veri incidenti ufficialmente registrati presso vigili urbani e forze dell’ordine.
Se si vuole passare ad un altro settore, quello della pubblica amministrazione, anche qui ci si trova di fronte in alcuni casi all’illegalità adottata a sistema, in qualche ipotesi addirittura teorizzata.
Tanto per restare alla questione urbanistica accennata prima e far parlare i fatti: i tre comuni che si trovano lungo la strada statale 403 sono quelli dove si è costruito di più ma che sono maggiormente in ritardo nell’adozione degli strumenti urbanistici. A Lauro addirittura manca sinanche l’approvazione del PUC; lo strumento urbanistico vigente è il Programma di Fabbricazione entrato in vigore nel 1977. Vari e variamente elaborate sono state le bozze di nuovo strumento urbanistico adottate nell’arco di questi oltre trent’anni, ma nessuna è andata in porto. Ed il perché è presto detto: gli amministratori hanno teorizzato l’illegalità anche da questo punto di vista. Se c’è uno strumento urbanistico efficace e vigente ciascuno sa dove e come può costruire e non c’è bisogno di chiedere favori al politico di turno. Ma se al cittadino riconosci senza problemi ciò che è in suo diritto, perché dovrebbe esserti riconoscente? Se invece, ti adoperi per fargli ottenere qualcosa che non gli spetterebbe, soprattutto se gli fai capire che tu amministratore ti esponi per lui cittadino, anche a costo di oltrepassare la soglia della legalità, allora il cittadino ti sarà riconoscente e ti assicurerà il suo consenso. E’ quello che è avvenuto anche nel campo edilizio-urbanistico a Lauro dove, nonostante questa situazione di mancata pianificazione si è costruito quanto previsto ed anzi più di quanto previsto dalle bozze di strumento urbanistico adottato. Ricordo che una delle prime bozze adottate sul finire degli anni ’80 inizio anni ’90 prevedeva un incremento della popolazione residente, all’epoca 3.800 abitanti, di quasi il 45%, con un dimensionamento del fabbisogno abitativo previsto dal PRG dell’epoca a circa 5.400 abitanti. Ebbene oggi tutte le aree previste come edificabili sono state pressocchè tutte edificate. Ma se andate a verificare qual è la consistenza demografica di Lauro vi accorgerete che essa non solo non è aumentata agli iperbolici 5.400 abitanti ma è addirittura diminuita a 3650.
E pur tuttavia si continua a rilasciare permessi a costruire. Solo nel periodo antecedente l’ultima consultazione elettorale di Lauro sono stati rilasciati 34 permessi a costruire: anche qui la coincidenza temporale è strana. Non credo che ci sia bisogno di far alcun commento, basterà riferire un altro aspetto gravissimo che purtroppo non ha avuto la dovuta eco nei mass media non dico nazionali o regionali ma almeno provinciali. Il contesto normativo di riferimento è quello precedente l’ultima modifica della legge urbanistica regionale che, a parere mio, in ossequio ad un malinteso principio di federalismo ed autonomia locale, ha privato di ogni cogenza i termini e le modalità per l’adozione degli strumenti urbanistici da parte dei comuni. Prima, quando ancora erano previsti i commissariamenti, il comune di Lauro venne commissariato per l’adozione del PRG e venne anche nominato un primo commissario dall’amministrazione provinciale preposta ai controlli il quale, senza ultimare completamente il suo mandato, si dimise; un secondo commissario venne nominato poi in sostituzione dal Prefetto. Ma anche questo misteriosamente dimessosi. Nulla si sa del perché.
Orbene, se questo è il quadro di riferimento allora non deve meravigliare quanto è successo di recente a Pago del Vallo di Lauro, un comune peraltro già sciolto negli anni novanta per infiltrazione camorrista, per una storia di documenti di identità ritrovati a dei camorristi. Per un paese e per una classe politica che avesse deciso di cambiare rotta, la cosa più doverosa da fare era quella di gestire nella massima trasparenza la cosa pubblica ed uno dei settori più delicati per un comune, quello della pianificazione urbanistica. Si è andati in direzione opposta. Anche senza volerci addentrare in questioni più specificatamente tecniche, ma limitarci a questione di più immediata percezione per la pubblica opinione, per la cittadinanza di Pago e del Vallo, basterà dire che vedere il boss Cava che senza l’approvazione di un strumento urbanistico riesce a realizzarsi una casa delle dimensioni di quelle viste, è circostanza che non passa inosservata. Ci fa capire come il potere dei boss è tale anche sulla pubblica amministrazione da riuscire ad ottenere ciò che normalmente non sarebbe consentito ed al contempo di ostentare potenza e ricchezza, insomma di essere i veri padroni del Vallo.
Ma il settore della pubblica amministrazione ci consegna anche episodi peggiori, per qualcuno dei quali è pure intervenuta qualche pronuncia giudiziaria. Come quello dell’ ex sindaco di Lauro condannato per diffamazione e minacce nei confronti di una dipendente. La vicenda, per quanto hanno sentito le mie orecchie, è questa: l’ex primo cittadino dal palco del comizio delle penultime elezioni senza giri di parole minacciò alcuni dipendenti notoriamente non schierati con la sua lista, disse loro che avevano le ore contate. Poi si passò dalle parole ai fatti. Poco tempo dopo infatti la sua amministrazione pose in mobilità alcuni dipendenti con provvedimenti che già i giudici in sede civile hanno bocciato. Ora anche il magistrato in sede penale ha sanzionato l’illecito comportamento.
Come si comprende dunque la prepotenza, al di fuori di ogni regola, assurta a sistema di governo di un territorio e della sua comunità.
Ma come vanno interpretate tali situazioni e soprattutto come va fronteggiato, l’espandersi del fenomeno criminale?
Innanzi tutto bisogna comprenderne esattamente la portata che non è più limitata a qualche diecina di persone, appartenenti tutti alla stessa famiglia. Per questo si deve tener conto che solo le due ultime operazioni direzione distrettuale antimafia della hanno interessato qualcosa come oltre 70 persone dei due clan. Inoltre proprio queste operazioni ci hanno confermato quanto già da un po’ di tempo si sapeva, e cioè che i clan che hanno le loro radici a Quindici hanno esteso la loro influenza a tutto il territorio del Vallo ed anche al capoluogo e ad una parte importante dell’Irpinia. Non solo come zona di espansione per la loro attività, ma anche area dove accrescere le fila dei loro affiliati e fiancheggiatori. Sembrerebbe quasi superfluo dirlo, ma è assolutamente fuori luogo pensare che la questione legalità e la questione criminalità sia un fatto che interessa solo una piccola parte del territorio regionale e provinciale. E’ concetto noto che la criminalità è come una ferita che non curata si estende a tutto il corpo. Oppure, se si vuole, è una mala pianta che se non estirpata diventa infestante. Può esistere una politica per l’Italia che prescinde dalla questione mafia o camorra? E allora come si può pensare che se ne possa prescindere a livello regionale o a livello provinciale?
Ma l’incancrenirsi della situazione e l’indifferenza di tanta parte della cittadinanza e dei loro esponenti politico-istituzionali stanno determinando anche altre conseguenze. Le persone si rintanano sempre più nel proprio particolare, i soggetti migliori si allontanano dall’impegno pubblico, chi può scappa via dalle nostre zone. A Lauro e nel Vallo registriamo una spiccata tendenza all’emigrazione che riguarda due categorie significative di persone: quelle che avevano scelto Lauro ed il Vallo per viverci per la mitezza del clima, per la bellezza del contesto paesaggistico e che adesso vedono invece che la qualità della vita sta peggiorando enormemente; ed i giovani che vanno a cercare fortuna fuori, sempre più spesso per non fare più ritorno. Si ripresenta e non certo sono io il primo a dirlo, il fenomeno dell’emigrazione di massa.
Ma vi è anche un altro aspetto intimamente connesso a quello che stiamo trattando e sul quale anche vi è ampia letteratura, quello dello sviluppo. Da sempre è risaputo che nelle zone ad alta presenza criminale non vi è sviluppo. Perché le imprese vanno ad investire dove hanno condizioni minime di sicurezza, dove non devono pagare il pizzo a nessuno, dove c’è possibilità di svolgere attività senza essere minacciati o vessati. Ebbene, nel Vallo di Lauro e credo un po’ in tutta la regione Campania, con qualche rara e labile eccezione, la tendenza è quella a disinvestire.
Tanto per comprendere qual’è la situazione, secondo una statistica pubblicata qualche mese fa e relativa all’ammontare del valore aggiunto prodotto per ciascun abitante, Lauro si trova agli ultimi posti nella classifica regionale. Ciò vuol dire che come attività produttive attive sul territorio siamo il fanalino di coda di tutta la regione. E se vogliamo far riferimento ad un altro elemento che sembrerebbe di più diretta ed immediata percezione basterà ricordare che è stato completato da oramai 3 anni il Piano per Insediamenti Produttivi ma nessuna impresa vi si è ancora insediata. Tanto che l’amministrazione comunale di Lauro ha concesso uno dei lotti per la realizzazione del centro per la protezione civile e forse farà sorgere un impianto fotovoltaico per la produzione dell’energia elettrica in altro lotto.
Ma cosa ci dice tutto ciò? Ci dice che non basta lo sforzo della sola magistratura o della polizia ovvero della amministrazione, ma occorre che vi sia uno sforzo sinergico. A partire dalla categoria di soggetti più importanti e direttamente coinvolti, noi cittadini che dobbiamo imparare a pretendere il rispetto delle regole dall’agire quotidiano, come il circolare con i caschi sui motorini o il non abbandonare i rifiuti per strada. Ed è qui che si innescano riflessioni su altre profonde diversità, diversità culturali che almeno in parte hanno origini ancestrali. E mi riferisco alla mancanza di senso di appartenenza ad una comunità, di senso di appartenenza ad uno stato, alla mancanza della coscienza del pubblico. Ed in effetti è facile riflettere che chi abbandona il rifiuto per strada, magari la stessa strada che percorre tutti i giorni e che conduce alla sua abitazione, non ha nessuna cultura del pubblico in quanto è come se dicesse: non è proprietà mia, cosa me ne frega di imbrattarla? E’ lo stesso atteggiamento di chi, essendo stato testimone di un delitto, interrogato dice: non lo, non sono fatti miei.
E’ questa cultura che occorre combattere, costruire il senso della comunità e dello stato, capendo esso è l’unico riferimento per esseri naturalmente sociali come noi esseri umani. Certo non è facile in un contesto nel quale mai nessuno si è esposto denunciando il pizzo o anche più semplicemente adempiendo al proprio dovere di testimoniare in un processo di camorra.
Nonostante tutte queste difficoltà credo che però il momento può essere oggi quello giusto: non solo vi è un’attenzione importante dell’opinione pubblica e di importanti organi dello Stato, come dimostrano le operazioni di polizia ripetutamente portate a segno nella Regione e le vicende delle terre dei casalesi e se voglaimo anche la vicenda di Saviano l’autore del fortunato best-seller “Gomorra”. Ma più in particolare nella nostra provincia nel nostro Vallo, viviamo un momento che conosce pochi, anzi nessun precedente.
Quasi tutti i maggiori esponenti dei clan, tranne forse uno, sono assicurati alle patrie galere.
Quindi potrebbe essere il momento in cui -in assoluto- si deve avere meno paura. E’ il caso dunque che chi ha subito estorsioni, minacce ricatti o comunque è in condizione di dare un contributo al lavoro degli organi dello stato lo faccia. Sapendo che pure essi hanno bisogno della presenza e della vigilanza dei cittadini, in modo da sentirsi impegnati in uno sforzo sinergico per un unico obiettivo. Così si potranno anche ridurre le possibilità che succedano casi come quello venuto a galla nei giorni scorsi, di contributi concessi in base alla legge per gli aiuti alle vittime della criminalità organizzata e ma andati a finire invece a parenti stretti degli stessi boss. Magari è stato solo un errore, però, se si effettuano controlli più ferrei e se ad effettuare i controlli più delicati in zona non sono proprio funzionari della zona stessa è più facile che le azioni di contrasto abbiano miglior esito e che non si dia luogo ad episodi come quelli che riguardava proprio la famiglia Graziano. Normalmente non è facile, anche per la ferocia che usano, contrastare i camorristi: di certo non lo possono fare meglio agenti e funzionari della stessa zona con i quali a volte ci sono rapporti di parentela o comunque di contiguità.
In realtà dobbiamo farlo tutti, sapendo che non esiste un’altra vita dignitosa e possibile in una terra insieme a camorristi: abbiamo appreso che non solo limitano la tua libertà, ti privano della tua voglia di vivere, ma in realtà ti tolgono la vita. E non solo come successe, tra i tanti, anche a Nunziante Scibelli trovatosi su una strada del Vallo nel momento sbagliato, ma anche giorno dopo giorno, seminando il territorio di veleni, tanto per fare un esempio.
Avevo già rivolto un appello qualche mese fa ai miei concittadini, alle autorità del Vallo, per approfittare del momento propizio della controffensiva di questo ultimi tempi da parte dello Stato che sta dando importanti risultati. Salvo qualche rarissima eccezione non ho ricevuto risposte, ma rinnovo l’appello: dobbiamo essere tutti insieme a rialzare la testa, a riprenderci il nostro territorio, la nostra vita. Ma dobbiamo essere tutti insieme.

sabato 20 settembre 2008

La raccolta che non c'è




Nei giorni scorsi è stato presentato alla stampa il rapporto di Legambiente Campania sui comuni ricicloni della nostra regione . Una vera e propria doccia fredda per il nostro paese, per le politiche ambientali tanto annunciate e pubblicizzate ma mai applicate. Il quadro per il Vallo tutto è desolante ma ciò che spicca è la posizione quasi in coda del nostro paese. Al di là degli annunci, delle reclame nei consigli comunali, dei capitan Eco distribuiti nel paese, il dato del nostro Comune è dell’8,9% ben al di sotto del 19,3 di Marzano o del 15,4 di Pago V.L.. Nonostante gli inviti dei mesi scorsi sulla questione rifiuti la situazione non sembra migliorata. Le politiche messe in atto in questi ultimi anni hanno prodotto poco e nulla, anzi non resta che decretare l’assoluto fallimento su questi temi degli assessori che si sono succeduti. Inoltre avremmo sperato che il responsabile all’ambiente spendesse parole di solidarietà e vicinanza alle zone dell’Irpinia oggetto di scempi ambientali autorizzate dallo Stato ma ciò dimostra ancora una volta la scarsa sensibilità verso la natura e l’ecologia dei nostri amministratori. Ma accogliendo l’invito del capogruppo del partito Socialista, non vogliamo soltanto polemizzare ma intendiamo lanciare delle proposte serie e fattive, sperando che non rimangano lettera morta come avvenuto nei mesi passati . Riteniamo opportuno che non ci si fermi alla sola distribuzione dei sacchetti che appare più una trovata propagandistica che un’azione seria ma che parta da subito una campagna di sensibilizzazione nelle scuola e tra i commercianti , che si passi alla creazione di una vera e propria isola ecologica, che si avvii un piano per la diffusione del compostaggio domestico dei rifiuti organici, inoltre auspichiamo che vi sia più cura delle campane usate per la raccolta vetro oggi oberate dai sacchetti e auspichiamo che il comune aderisca alla campagna promossa dal Legambiente “Il Rifiuto Fiorisce”.

sabato 2 agosto 2008


C’è una Sinistra che non si è fermata al 14 aprile ma di quella sconfitta elettorale ha raccolto gli ammonimenti per ragionare su se stessa, per rimediare ai propri errori, alle infinite liturgie, ai peccati di presunzione. C’è una Sinistra che ha deciso di proporre un processo costituente che non sia la semplice somma delle appartenenze ma un’esperienza di innovazione profonda. Un progetto politico che raccolga esperienze, culture, passioni civili e tensione morale. Un progetto condiviso, costruito dal basso, capace di affrancarsi dalla prudenza dei “gruppi dirigenti”, dalla ritualità delle attese e dei rinvii. Sapendo che, nel paese, la sinistra sociale e civile è molto più avanti dei congressi che hanno preteso di rappresentarla.
La risposta che arriva da questi congressi ci dice che non tutti saranno disponibili. Amici e compagni che su questo tema si erano spesi con passione, si mostrano adesso tiepidi, preoccupati di non abbattere i recinti delle loro storie, come se l’ostacolo oltre il quale lanciare il cuore sia diventato improvvisamente troppo alto.
L’ostacolo è sempre lì, di fronte a noi. E’ un muretto sgretolato, fatto di diffidenze, calcoli, ansie identitarie. Davanti a questo muretto è franata l’esperienza di Sinistra Arcobaleno, un generoso progetto comune che si è risolto in un cartello elettorale, un’intesa di vertici di partito in cui ciascuno restava geloso del proprio nome, della propria storia, dei propri inossidabili simboli…Siamo stati sconfitti perché siamo apparsi per ciò che eravamo: una collezione di piccole patrie senza un progetto per il paese. Se la sfida oggi dovesse ridursi a conservare confini e bandiere di quelle patrie, vorrebbe dire che il cuore è rimasto inchiodato a terra. Da questa parte del muro.
Non per noi. Non per Sinistra Democratica che rilancia in questi giorni il proprio impegno per un processo costituente a sinistra: urgente, rigoroso, largo, aperto. La Costituente su cui siamo impegnati non è la liquidazione dei partiti della sinistra ma un cantiere politico che porta in sé lo sforzo di una ricerca, la scelta di misurarsi con nuovi linguaggi, nuovi riferimenti, con un nuovo sguardo sulle cose di questo tempo. Il punto d’arrivo è una nuova sinistra, capace finalmente di riorganizzare e spostare in avanti i segni di tutte le culture che si porta dentro. Non un museo ma un laboratorio. Non una somma di recinti (i socialisti con i socialisti, i comunisti con i comunisti, gli ambientalisti con gli ambientalisti, la società civile con la società civile, i radicali con i radicali…) ma un campo da seminare insieme. Con un primo urgente banco di prova: la riorganizzazione di un’opposizione di cui oggi il paese è orfano, un’opposizione che rimetta al centro dell’agenda politica quei temi – il lavoro, la precarietà, le disuguaglianze, le nuove povertà, i diritti negati, le garanzie violate - che il governo Berlusconi considera poco più che bottino elettorale.La Costituente di Sinistra non subirà alcuna moratoria: è già in campo, e ci impegneremo perché possa confrontarsi con gli elettori già a partire dalle amministrative e dalle europee del prossimo anno. Certo, nessuno è così ingenuo da pensare che a un nuovo soggetto politico della sinistra si possa arrivare in pochi mesi con un frettoloso atto notarile. Ma nessuno può fingersi talmente sprovveduto da pensare che questo processo possa essere rimandato a tempi migliori. Il tempo per la Costituente di Sinistra è adesso, perché adesso va ricostruito un centrosinistra di nuova cultura politica, perché adesso va restituita visibilità e responsabilità a tutte le voci della sinistra, perché questo ci chiedono gli elettori che il 14 aprile ci hanno voltato le spalle e che non vogliono dover continuare a scegliere tra partiti brevi e chiusi, parole desuete, reducismo… Quattro congressi, dodici mozioni: questo è il presente della sinistra italiana. Non può essere anche il futuro.Sinistra Democratica lo ha sostenuto nella propria assemblea nazionale: dobbiamo aprire un cantiere, discutere e lavorare insieme su forme, modalità, tempi e soprattutto contenuti. Insieme non significa nel chiuso dei nostri gruppi dirigenti. Pensiamo alla domanda di nuova politica che arriva dalla sinistra sociale e diffusa: decine di associazioni, percorsi collettivi, storie individuali di impegno e di militanza, di pensiero critico e di battaglia politica che in questi anni hanno rappresentato – da Vicenza a Palermo, da Firenze a Locri - la migliore coscienza civile del paese: la Costituente è il luogo politico in cui ciascuna di quelle storie può ritrovare voce, sovranità, responsabilità.
Dobbiamo fare presto e bene. Evitando che a decidere per noi sia una nuova legge elettorale. Far nascere un progetto unitario come una necessità legata alle cifre di uno sbarramento sarebbe una fuga, non una scelta. Gli elettori ci hanno detto che dalla sinistra non vogliono finzioni o tatticismi ma assunzione di responsabilità. Per questo chiediamo a chi si riconosce in questa urgenza e in questo percorso di farsi avanti: la Costituente di Sinistra deve essere un processo plurale, aperto, inclusivo. Di pari dignità, di reciproca responsabilità. Senza ospiti né padroni di casa. E’ ciò che il paese si aspetta da noi.

domenica 13 luglio 2008

I voltagabbana


Cambiare idea vuol dire essere voltagabbana? Certamente no. Cambiare idea è sempre legittimo, talvolta giusto, raramente (ma può capitare), obbligatorio. Ma un voltagabbana non cambia idea, cambia posizione. Voltagabbana è "chi, per utilità personale, muta facilmente opinione e partito". Per poter dire che qualcuno è un voltagabbana devono concorrere molte condizioni. Il voltagabbana dice con molta convinzione di non aver cambiato nulla ("ho sempre scritto queste cose"). Il voltagabbana cambia repentinamente ("ma è un travaglio che parte da lontano"). Il voltagabbana rifiuta di dare spiegazioni ("sono cose intime che riguardano solo me"). Il voltagabbana nega il proprio passato, lo ricostruisce con un personale lifting della memoria ("mai dette queste cose"). Resta da chiedersi: tra i folgorati sulla via di Damasco, chi è il re dei voltagabbana? E, inoltre, voltare gabbana conviene? La caratteristica principale dei voltagabbana è quella di scegliere come direzione quella del vento. Il 99 per cento dei voltagabbana scelgono il potere. Nei momenti dei grandi cambiamenti la transumanza dei voltagabbana è visibile a occhio nudo e particolarmente fastidiosa. Quando vedono personaggi che, folgorati sulla via di Damasco,si comportano con lo stesso fanatismo di prima cambiando solo oggetto delle loro ingiurie, si rifiutano di spiegare il loro percorso e, naturalmente, ottengono promozioni, trasmissioni o semplicemente la conservazione delle loro postazioni privilegiate, ecco, quando si verificano tutte queste condizioni viene spontaneo di chiamare costoro "voltagabbana". Poi esistono anche delle sottospecie: il voltagabbana continuo, il voltagabbana immobile, il voltagabbana inconsapevole, il voltagabbana di mestiere, il voltagabbana sportivo. Esistono voltagabbana che trascinano nei loro disinvolti itinerari interi salotti, interi partiti,intere o quasi amministrazioni. Il giro di valzer del Sindaco di Lauro accompagnato da qualche assessore e consigliere era prevedibile da tempo,la linea politica dell’amministrazione era chiaramente spostata verso destra,verso politiche reazionarie,demagogiche e populiste. Saltare sul carro dei vincitori appare cosa facile, ci aspettiamo adesso che tutte quelle forze che hanno insistito sull’ancoraggio di centro sinistra della maggioranza prendano le dovute distanze. Ci auguriamo che nella prossima seduta dell’assise comunale la rappresentate del PRC e il Direttivo di questo partito chiaramente prendano le distanze da un’ amministrazione conservatrice, aspetto già ampiamente dimostrato nei provvedimenti adottati in questo anno di governo,non appoggiando un governo di destra. Il trasformismo e la privatizzazione della politica hanno invaso e contagiato il nostro paese, noi lavoreremo e lotteremo affinché sia ristabilita l’autentica concezione di politica intesa come arte di governare la società.

sabato 5 luglio 2008

La misura è colma SD sul Consiglio Comunale del 30 giugno 08

Avremmo di gran lunga preferito non intervenire sulle mostruosità pronunciate nell’ultima seduta del consiglio comunale,affinché si potesse svelenire il clima di odio e tensione che si è instaurato nel nostro paese;ma per l’ennesima volta i nostri presunti amministratori per giustificare le loro deficienze e le loro mancanze hanno tirato in ballo la sinistra e il sindacato. La misura è colma!. Invece di ricercare il colpevole nelle forze che hanno sempre (e lo faranno ancora) lottato per i diritti dei lavoratori e contro i soprusi , questi signori facciano mea culpa,ricercando nelle loro opere di demolizione della cosa pubblica le cause della crisi del comune di Lauro. La Corte di Conti lo ha detto chiaramente,ci troviamo dinnanzi ad una gestione poco sana delle finanze dell’ente,consigliamo a qualche assessore poco tecnico di fare un bagno di umiltà e denunciare pubblicamente le proprie deficienze, i propri limiti e le proprie mancanze. Il Comune non può essere una fisarmonica affidata a dei dilettanti allo sbaraglio. Per giustificare la crisi finanziaria irreversibile del nostro ente ne abbiamo sentito tante anzi troppe,consigliamo a qualche politicante che in passato ha fatto vanto di essere rappresentante dei piccoli comuni di informarsi bene sugli accordi che stringe l’ANCI con i vari ministeri:non è più la scuola a dover pagare la Tarsu ma il Ministero della P.I. Consigliamo al puparo di rileggersi le parcelle che noi cittadini abbiamo pagato agli avvocati per le sue battaglie contro i mulini al vento quali la questione dei segretari comunali,lo statuto costituzionale etc etc. Bugie,menzogne, come quelle piovute addosso alla Sinistra,a Colucci e alla CGIl, volte solo a coprire i guai che hanno prodotto. Ci rincresce assistere all’ennesima prova di mutismo della rappresentante del PRC, la quale ha accettato senza proferir parola le accuse infamanti che il socialista-riformista-bassoliniano-antibassoliniano-leghista-federalista-demitiano capogruppo di maggioranza ha scagliato contro l’area nella quale milita. Non possiamo accettare che paghino per l’ennesima volta i dipendenti,vittime di un sistema di potere e gestionale malato e viziato. Le liste dei proscritti esistono già,lo si evince dagli interventi del factotum della maggioranza ma noi saremo in prima linea affinché i veri proscritti,gli unici ad essere allontanati siano questi scellerati amministratori.

giovedì 3 luglio 2008

Avanti così:No a viale Craxi


Nell’ ultimo consiglio comunale di Lauro la maggioranza ha avallato la proposta del primo cittadino di intitolare una via a Bettino Craxi. Ecco: avanti così! Intitoliamo una via ad un politico, simbolo degli anni più bui e tristi della storia repubblicana, protagonista in negativo delle indagini di Tangentopoli. Un personaggio che ha preferito l’auto-esilio dorato di Hammamet, piuttosto che affrontare la magistratura ed i tribunali italiani, come fanno, del resto, tanti cittadini innocenti o presunti tali per dimostrare la loro estraneità a fatti delittuosi a loro imputati. Non si comprende quali siano le ragioni politiche e soprattutto morali che hanno portato a tale scelta. Le strade, le piazze e i monumenti si intitolano agli eroi, ai martiri e a tutti coloro che con l’intelletto, l’ingegno e l’impegno civile,spesso anche a costo della propria vita,hanno lasciato un’eredità positiva a beneficio della collettività e delle generazioni future. Bettino Craxi non ha mai fatto nulla di ciò semmai si è reso protagonista di un modo di fare politica che ancora oggi fa arrossire di vergogna che andava dall’affarismo alla tutela degli interessi di partito, passando per il finanziamento occulto dei partiti che fino a prova contraria in quegli anni era reato, fino ai miliardi di tangenti per sè e per il suo partito, favorendo amici e finanziatori occulti, lucrando sulla cosa pubblica. Diciamo che dal punto di vista morale, Bettino, ha molto da far dimenticare e molto poco da far ricordare Una via comunale deve rappresentare qualcosa di condiviso: deve essere un segno di rispetto nei confronti di qualcosa o di qualcuno. Ci lascia interdetti la posizioni della rappresentante di Rifondazione Comunista che ha accettato questa scelta senza proferire parola,dimenticando come Bettino Craxi sia stato mosso da una ferocia demonizzazione della sinistra radicale. Riteniamo giusto appoggiare la scelta del consigliere Truoiolo di intitolare una strada ad Enrico Berlinguer e pensiamo sia giusto e doveroso dedicare altre vie ad eroi civili,questa volta veri, come Falcone e Borsellino.

consiglio comunale

giovedì 5 giugno 2008

A proposito di sconfitte

In questi giorni abbiamo assistito all'ennesima sconfitta giudiziaria del tirannello Bossone, che si è visto condannare per calunnie e diffamazione nei riguardi della dipendente Ferraro. Il nostro movimento esprime piena solidarietà alla lavoratrice da troppo tempo costretta a subire le angherie di questo pseudo politico. Ricordiamo le recenti parole di questo finto riformista in un consiglio comunale dove paragonando il comune ad un'azienda lanciò un chiaro messaggio a quei dipendenti che risultassero perdenti in cuase contro l'amministrazione: caro tirannello adesso è lei ad essere incompatibile con il sistema comune è lei adesso ad arrecare danno alle casse comunali per colpa della sua scarsa lungimiranza politica ,la poco dimistichezza con la buona educazione e la poco anzi assente conoscenza di un eloquio corretto. Non sono gli altri ad aver affondato Lauro, è lei con le sue astrusità e le sue mostruosità. Giustizia è fatta, adesso aspettiamo e auspichiamo l'immediato reintegro della sig.ra Ferraro al posto che le spetta, e speriamo che i falsi amministratori prendano coscienza dei loro danni , delle loro sconfitte e ritornino a casa.

venerdì 16 maggio 2008

Claudio Fava neo coordinatore naz. di SD:Ricominciamo, per la sinistra


Permettetemi di ringraziare in modo non rituale Fabio Mussi, non solo per l’impegno che ha investito in questi mesi difficili nel nostro movimento e nel nostro progetto. Penso che se siamo qui, tutti qui, dopo gli anni trascorsi nei DS, cercando di mantenere ferma in modo convinto e trasparente la nostra posizione politica, se abbiamo superato tre congressi dei Democratici di Sinistra continuando a ritrovarci nel progetto fondativo di un nuovo soggetto di sinistra lo dobbiamo anzitutto a Mussi, al modo in cui ha offerto guida e riferimento, sempre in punta di coerenza, per questo progetto. E dice bene Mussi nel ricordarci che la sinistra ha ancora una funzione importante da svolgere in questo paese. Io aggiungo: a patto di essere spietati con noi stessi, di indagare senza pudore i nostri limiti, di rivedere le categorie interpretative, i linguaggi e le forme organizzative di questa sinistra. Cercando di mettere a frutto quel “3” politico che il nostro progetto ha ricevuto il 14 aprile dagli elettori. In quella bocciatura c’è anzitutto un nostro debito di verità. Verità su un progetto che abbiamo tentato di far passare come la prima prova di un nuovo soggetto politico di sinistra, pur sapendo che Sinistra Arcobaleno, nelle pratiche di alcuni soci fondatori, nel gioco delle reciproche diffidenze, nella vetustà dei linguaggi, non era un soggetto politico, e non era affatto nuovo: era solo un cartello elettorale. Abbiamo mentito, sapendo che ogni nostra rassicurazione sulla cifra comune e condivisa di questo percorso era una gentile ma sfacciata menzogna. Negli stessi giorni della campagna elettorale, mentre dal palco dei comizi ci ritrovavamo tutti insieme per recitare una liturgia rassicurante, alcuni partiti della Sinistra Arcobaleno aprivano il loro tesseramento.Siamo apparsi poco credibili, invecchiati precocemente, costretti a linguaggi, asserzioni, certezze che apparivano abissalmente distanti dal paese reale. Abbiamo continuato ad interpretare il malessere sociale, la povertà diffusa di milioni di italiani con la categoria semplificatoria di “classe” senza comprendere che questa povertà è trasversale, affligge ceti medi e piccola borghesia, operai e salariati. In quella povertà non c’è una classe ma l’insicurezza sociale e la precarietà esistenziale che ha profondamente modificato il senso comune del paese. Solo che in questi quindici anni, mentre il paese precipitava lungo la china delle nuove paure e dei nuovi nemici, noi siamo rimasti a guardare, lasciando alle forze più conservatrici il compito di interpretare e assecondare questo nuovo, devastante senso comune.Eppure più volte abbiamo avuto la possibilità di intercettare la domanda di cambiamento che la società rivolgeva alla sinistra. Dalla provocazione di Moretti a Piazza Navona ai tre milioni a Roma per la manifestazione a sostegno dell’articolo 18, agli autoconvocati di piazza san Giovanni fino ai centomila di Bari per la grande manifestazione antimafia di due mesi fa: abbiamo lasciato che questa richiesta d’un nuovo senso politico, di nuove forme di partecipazioni e di rappresentanza scorresse sotto il nostro sguardo come se si trattasse d’un film, una finzione, un paese che non c’era. Quel paese c’era, e il 14 aprile ci hanno presentato il conto. Abbiamo pagato la diffidenza con cui la sinistra ha interpretato questa fase costituente, abbiamo pagato il nostro linguaggio da piccoli maestri che credevano di parlare ad un paese che non esiste più.Da dove ripartiamo? Da noi stessi, anzitutto. Dal progetto costituente che ci tiene insieme, da questa idea forte e necessaria di una nuova costituente di sinistra. Partendo però da alcuni chiarimenti di merito e di metodo. Intanto, un cantiere per una nuova sinistra si fa con chi ci sta. Non con tutti. Il tema dell’unità di tutte le forze di sinistra è un falso problema, una mitologia, una sovrastruttura. C’è chi ritiene oggi (e forse ha sempre pensato) di dare vita ad una costituente comunista: è un progetto che io rispetto, ma che nulla ha a che fare con il nostro percorso e il nostro punto di arrivo. Sono incompatibili, e non per il repertorio dei simboli e delle identità che pure è cosa che comprendo e rispetto. Ma perché in quel dirsi ad alta voce anzitutto comunisti sento il limite di una sinistra che non accetta di guardarsi dentro, che non vuole rinunziare alle proprie ridotte, alle proprie categorie, alla deriva identitaria, e poco importa se oltre quell’identità c’è un altro mondo, un altro paese, un’altra dinamica di conflitti sociali ed economici.Ecco, è quella loro certezza a separarci. E a farci dire che una costituente di sinistra ha senso se si ripensa con onesta concretezza all’identità stessa della sinistra, alla sua capacità di porsi come motore di rappresentanza e di trasformazione non più di un paese virtuale ma di questo disperato e reale paese in cui viviamo. E qui si arriva a un secondo elemento di chiarezza necessaria: Sinistra Democratica vuole lavorare, con il contributo della sua autonomia, alla costruzione di un nuovo centrosinistra per il governo del paese. Questo vuol dire superare il concetto di una sinistra e di un Partito democratico, ciascuno per sé autosufficiente: in quella autosufficienza, già bocciata dal voto degli elettori, non c’è una scelta politica: c’è solo una fuga. Un nuovo centrosinistra, dunque, che nulla della vecchia esperienza dell’Unione abbia in sé. Superando, da parte nostra, la ridicola contrapposizione tra sinistra di governo e di opposizione. Come scriveva bene Occhetto qualche giorno fa sull’Unità, non esiste una sinistra che sia sempre di governo o sempre di opposizione: la sinistra sta dove gli elettori le hanno offerto di stare, conservando sempre la cifra della propria coerenza e dei propri obiettivi.Dove si collocherà questa nuova sinistra rispetto alle grandi culture politichesi riferimento? La famiglia di Sinistra Democratica resta quella del Socialismo europeo: ma dev’essere intesa come una risorsa, non come un limite o un rifugio identitario. Tanto più che la domanda inevasa in questa campagna elettorale non è a quale famiglia politica avrebbe aderito la Sinistra arcobaleno, se al Pse o alla Sinistra europea. C’era un’altra domanda, ben più urgente: in cosa quel progetto mostrava una vocazione realmente unitaria? In cosa era davvero “nuovo” il nostro progetto? In quali pratiche organizzative, in quali forme di partecipazione, in quali linguaggi eravamo altro da una coalizione di partiti? La risposta è stata spesso solo un balbettio.E’ tempo di dire. E di rivedere anche il nostro rapporto con il PD. E’ stata una scelta consapevole quella di non aderire a quel progetto, e di quella scelta restiamo tutti assolutamente convinti. E se un dialogo deve costruirsi con il Partito democratico, va fatto su posizioni di reciproco rispetto e autonomia. Il problema non è solo la dinamica delle alleanza, ma la politica che essa sottende. Davvero il Pd ritiene con il 33 per cento di poter rappresentare metà di questo paese e di poter puntare al governo dell’Italia? Se così non è, siamo pronti a un confronto. Ma, ripeto, pari dignità reciproca autonomia e coerenza nel dialogo: se quel dialogo non serve a Roma, non esisterà nemmeno nelle periferie. La sinistra, e certamente Sinistra Democratica, non può essere una shopping list dalla quale prelevare voti e alleanze solo quando le coalizioni servono ai governi locali.Tutto ciò, un nuovo cantiere a sinistra e un diverso rapporto con il PD, pretende da Sinistra Democratica la capacità di definire se stessa, il proprio contributo, il proprio orizzonte politico di riferimento. Senza aspettare i congressi degli altri partiti ma sviluppando una propria fase costituente che restituisca al movimento anche quelle dosi di democrazia e partecipazione interna che fino ad oggi sono state carenti. E’ l’unico modo per uscire dalla dimensione della “mozione congressuale”: le compagne e i compagni del comitato promotore, al 90%, provengono dall’esperienza dei DS. I nostri quadri dirigenti, i nostri (pochi) eletti, i mostri militanti: siamo quasi tutti la prosecuzione inerziale della mozione congressuale di due anni fa. Questo non è un limite: è la certezza della nostra superfluità. Sinistra Democratica deve scegliere di essere altro, di aprirsi, allargarsi, contaminarsi con percorsi e storie diverse, di rinnovare profondamente i propri gruppi dirigenti, di proporli come la rappresentazione di una nuova, possibile sinistra che sappia parlare non solo ai reduci di una battaglia congressuale ma a una parte vasta e attenta del paese.A questo servirà l’assemblea nazionale convocata per i primi di luglio: certo, a rinnovare i gruppi dirigenti, a offrire a questo processo un imprinting democratico, ma soprattutto a fare di Sinistra Democratica altro e di più, trasformando ciascuna delle 500 assemblee locali che convocheremo nei prossimi giorni in altrettanti momenti di iniziativa e di proposta politica.Ritrovarci per questa discussione a trent’anni dalla morte di Peppino Impastato forse non ha solo il sapore d’una coincidenza. E’ la dimostrazione che trent’anni fa come oggi, esiste un altro paese fatto di donne e di uomini liberi, che vogliono vivere per cambiare le cose, non per subirle. Né per rassegnarsi alle malinconie del senso comune.

mercoledì 7 maggio 2008

Sinistra Democratica vs Bossone:non accettiamo lezioni di stile da chi calpesta i diritti


Il fatto: lunedì 27 aprile si è svolto il consiglio comunale di lauro per l'approvazione del bilancio, in quella sede per l'ennesima volta protagonista assoluto è stato Bossone,che non ha fatto altro che cimentarsi in una serie di accuse alla sinistra,ai suoi rappresentanti e alle sue idee. In particolar modo egli ha definito "pagliaccio"Sodano in merito alla partecipazione alla marci anticamorra del marzo scorso; ha inoltre accusato Aurisicchio per la sua campagna di verità e di trasparenza sugli atti amministrativi del comune e ha infine minacciato i dipendenti . Copione noto,ma SD non può tacere.

"Le dichiarazioni del puparo Bossone denotano lo stato di assolutà gravità e di emergenza in cui versa l'amministrazione comunale di Lauro". Il coordinatore di Sinistra Democratica Giacomo Corbisiero ha atteso qualche giorno per intervenire sulle dichiarazioni in aula dell'ex primo cittadino Antonio Bossone. Una replica a muso duro,quella dell'esponente della sinistra resa necessaria dal fatto che "questo buffo politicante ritene definitivamente sepolta la sinistra. Non si può tacere di fronte alle minacce rivolte ai dipendenti che da anni lottano per difendere i propri diritti. Non possiamo essere silenti di fronte allle accuse volgari e sterili rivolte al compagno Sodano, paladino della legalità in questa regione. Non possiamo abbassare gli occhi quandi si infanga per l'ennesima volta il compagno Aurisicchio sempre al fianco dei lavoratori e delle giuste cause. Non accettiamo lezioni di stile, di etica e di morale da chi ha portato questom paese allo sfascio.Da chi quotidianamente calpesta i diritti dei cittadini." Non le manda a dire il giovane esponente di SD al capogruppo di maggioranza anzi Corbisiero sgrana un vero e proprio rosario di accuse nei confronti di Bossone. Ma c'è anche un passaggio politico nell'intervento del rappresentante della sinistra condizionato però da queste vicende. "Il processo di costruzione della sinistra continua, ma sia ben chiaro che chiediamo ai rappresentanti del PRC di rompere l'egemonia di Bossone che infanga il loro partito. Auspichiamo una protesta formale da parte loro verso le accuse rivolte alla sinistra e ai loro stessi rappresentanti politici(l'ex senatore Sodano)." dal corriere dell'irpinia

giovedì 1 maggio 2008

I Maggio Festa dei lavoratori


Il nostro è un paese in cui si continua di morire di lavoro, più che in altri paesi; i salari sono bassi, tra i più bassi in Europa; la precarietà una condizione dell’esistenza.E’ anche il paese fondato sulla Costituzione repubblicana che indica nel lavoro il fondamento della Repubblica. La legislazione del lavoro italiana e i contratti hanno alle spalle e come limiti lo Statuto dei Diritti al Lavoro, che ha tradotto lo spirito della Costituzione.Tra la perdita di valore sociale del lavoro così evidenziata dalle morti quotidiane e dal livello delle retribuzioni e la solennità dei valori fondanti della Repubblica c’è una distanza profonda, che parla del vuoto di rappresentanza politica delle ragioni delle lavoratrici e dei lavoratori, sedimentato in tanti anni.Questo è il problema principale squadernato di fronte alla Sinistra politica italiana, che risultati i elettorali hanno amplificato perché l’hanno registrato senza veli. Se lo si affrontasse per quello che è, ci si troverebbe anche di fronte al secondo interrogativo. Come, di fronte a processi economici globali che dunque non sono confinati entro una nazione, si ricostruiscono diritti universali del lavoro, come li si estendono oltre le costituzioni nazionali in cui sono iscritti e dunque qual è la dimensione (almeno europea) della cultura politica della sinistra moderna da ricostruire. E’ la competizione globale e la possibilità di trovare fuori dai confini nazionali lavoro a più basso costo, assenza di vincoli ambientali, eccetera, a giustificare la minaccia-pressione agitata dalle associazioni delle imprese in Italia nei confronti del sindacato e dello Stato per ottenere sgravi fiscali e sostegno con risorse pubbliche, giustificare bassi salari fino ad inaugurare neologismi tanto impropri quanto ideologici come il “salario di produttività”.E’ sempre richiamando la competizione globale che la nuova presidente della Confindustria Emma Marcegaglia, propone la centralità dell’impresa quale valore fondante della Repubblica, con un rovesciamento di paradigma certo anche se non nominato. Al contrario il dibattito politico italiano di oggi ci ripropone dopo le elezioni politiche e il disastroso suggello romano una tesi esattamente opposta: i diritti non sono universali, ma territoriali; anche i salari; la contrattazione nazionale in quanto tale, non moderna.Dunque la competizione sui diritti e la disuguaglianza come entità da enfatizzare sono il pericolo nascosto dietro la perdita di senso di una cultura politica nazionale ed europea, travolta dalla globalizzazione. Tutto ciò descrive un’idea precisa di crescita economica, di modello sociale e relazioni tra le persone. Sappiamo che le incertezze della globalizzazione rischiano di trasformarsi in un’illusione di cittadelle protette, in razzismo e in xenofobia se alle domande di sicurezza in senso generale non arrivano risposte concrete ed efficaci.Il primo maggio del 2008 è Festa Nazionale del lavoro: perché non sia un rito,

mercoledì 30 aprile 2008

Sinistra Democratica che fare???


Dopo la pesante sconfitta del 13 e 14 aprile, è ineludibile la domanda: serve ancora Sinistra democratica? Noi pensiamo che possa servire, perché c'è in Italia uno spazio politico, sociale e culturale a sinistra del PD, e perché in campagna elettorale i quadri e i militanti di SD hanno mostrato di esserci, numerosi e combattivi.
Per rilanciare l'iniziativa di SD, bisogna però recuperare due elementi centrali nella nostra originaria proposta, - la cultura di governo e l'identità socialista - abbandonati nei successivi drammatici mesi, e bisogna dare una struttura, leggera e democratica, al nostro movimento.
Il 5 maggio dell'anno scorso parlammo (tra l'altro) di una "sinistra di governo". Questa non c'è stata nell'ultimo biennio, e non per nostra responsabilità. Sia ben chiaro, non parliamo di una sinistra che voglia governare ad ogni costo, e che subordini tutto alla conquista e al mantenimento del potere. Questa è stata la strada seguita dalla maggioranza dei DS prima e dal PD poi. Ha portato anche loro a una pesante sconfitta.
Parliamo di una sinistra che parta dai suoi ideali e dai suoi valori, e da una cultura critica del mondo in cui viviamo. Ma che sappia tradurre gli uni e l'altra anzitutto nel radicamento nella società, in secondo luogo in concrete indicazioni per il cambiamento, infine in una credibile proposta politica, a partire dalle alleanze (politiche e sociali). E si ponga quindi l'obiettivo di costruire un nuovo centro-sinistra.
Seconda questione. Ci siamo chiamati "Sinistra democratica per il socialismo europeo". Ma la seconda parte del nostro nome è scomparsa. Va ripresa e rilanciata. Anche perché esiste in Italia un mondo socialista (una cultura politica, e un elettorato potenziale) certamente non limitato allo zero virgola qualcosa per cento. E' possibile che affermare la nostra identità socialista ponga un problema a una parte delle forze con cui va costruito il nuovo partito della sinistra. Ma questa difficoltà non è una ragione sufficiente per rimuovere il tema. Anche perché sarebbe riduttivo chiamarsi socialisti solo per definire un'identità o un'appartenenza organizzativa. Socialismo oggi vuol dire porre il tema del governo, nei termini che abbiamo cercato prima di indicare sommariamente. Del resto, se stessimo in un altro paese europeo saremmo nel partito socialista di quel paese, e ne costituiremmo l'ala sinistra.
Infine, il percorso delle prossime settimane. Dobbiamo assumere scelte politiche di fondo, e le conseguenti iniziative nel paese e verso gli altri partiti della sinistra; decidere il necessario rinnovamento del gruppo dirigente; assicurare la presenza nel territorio.
L'idea che sarebbe stato inutile, anzi dannoso, darsi un minimo di regole e di struttura (per evitare di fondare un nuovo "partitino") si è rivelata alla prova dei fatti un'illusione. L'illusione di avere più tempo, e l'illusione che comunque il nuovo soggetto politico della sinistra (unitario e plurale) era a portata di mano. Così non è stato e non è.
Per questo riteniamo che Sinistra democratica deve darsi da subito una struttura, leggera e democratica. Come farlo?
Fra le molte promesse mancate di Sinistra Democratica troviamo di certo quella di un nuovo modo di far politica. La critica alla riduzione oligarchica dei processi democratici, alla mancanza di partecipazione da parte di iscritti e militanti, alla assunzione di decisioni in sedi ristrette e poco trasparenti era stata per molti decisiva nella scelta di uscire dai DS con l'ultimo congresso. Pensavamo che nel PD non sarebbe andata meglio. Anche per questo abbiamo scelto un'altra strada. Ma quella che abbiamo preso non ha realizzato le speranze.
Pensiamo che, dopo la catastrofe del voto, la musica debba cambiare. Abbiamo affrontato una campagna elettorale difficilissima. Compagne e compagni in tutto il paese si sono battuti fino all'ultimo, per un risultato che diventava ogni giorno più difficile. Ora, dopo il terremoto, a loro dobbiamo rivolgerci perché indichino la strada da seguire e scelgano il nuovo gruppo dirigente.
Per questo non ci persuade l'idea di tornare al Comitato promotore, perché elegga un altro coordinatore, che formi una nuova presidenza, che apra un dibattito dai contorni e delle modalità imprecisate. Il Comitato promotore era ed è in buona parte diretta filiazione del congresso DS. Doveva avere una funzione transitoria, e per questo il nostro Statuto provvisorio - consultabile sul sito - gli assegna esclusivamente il compito di "lanciare la fase di adesione al Movimento". Quella fase è alle nostre spalle. E' giusto e corretto che a partecipare e a decidere le scelte di oggi siano le compagne e i compagni che oggi, qui ed ora, hanno fatto o confermato le loro scelte e sono scesi in campo.
Proponiamo un altro percorso per SD. Un percorso innovativo, un pezzo di riforma della politica. Convocare al più presto assemblee territoriali, per esempio a livello provinciale, di tutte le compagne e i compagni che hanno aderito a SD, hanno partecipato alla campagna elettorale, e intendono proseguire il loro impegno nel nostro Movimento. Assemblee aperte a tutti quelli che a sinistra volessero partecipare e contribuire. Assemblee che sarebbero per noi l'equivalente di una grande primaria democratica sul progetto, perché convocate per discutere di politica, e non per l'elezione plebiscitaria di un leader. E che, sulla base della discussione politica, eleggano i propri rappresentanti per una grande Assemblea nazionale chiamata a decidere, entro giugno, sulla linea politica e sul nuovo gruppo dirigente nazionale.
Noi e la sinistra abbiamo bisogno di cambiamento vero. E non possiamo consentirci altri errori. Il primo errore sarebbe non dare la parola, per decidere davvero, a tutti coloro che si sono guadagnati sul campo tale diritto.
di Cesare Salvi e Massimo Villone -Comitato Promotore SD

Adesso tocca a Sinistra Democratica


La più significativa e preoccupante conseguenza del voto del 13 e 14 aprile - prima ancora dell’assenza nel prossimo Parlamento di una forza dichiaratamente di sinistra - è stata la schiacciante vittoria della destra. Una destra nè moderata nè conservatrice di stampo europeo, ma semplicemente populista. La lunga transizione politica, iniziata nel nostro paese con tangentopoli ed il dissolvimento dei tradizionali partiti di massa alla fine degli anni ’80, se non può dirsi terminata, sembra essere comunque giunta in prossimità di una sua probabile chiusura. Appare pertanto semplicistico qualsiasi schema interpretativo del risultato delle recenti elezioni se non si scava in profondità per comprendere quali processi economici, culturali e socio-politici hanno determinato la chiusura “a destra” di un lungo periodo di transizione caratterizzato dai crescenti fenomeni di globalizzazione, precarizzazione e frammentazione sociale.
Dalla seconda metà degli anni settanta il modello keynesiano, che aveva coniugato la crescita e lo sviluppo con il benessere delle comunità, è stato via via sostituito, e non solo nel nostro paese, da un modello in cui l’economia non è stata più governata dalla politica. Le leggi del mercato hanno da allora preso il sopravvento e l’aumento del PIL ha sempre più rappresentato il principale parametro di una crescita e di uno sviluppo indistinti. Perchè il PIL da solo non misura il benessere di uomini e donne né la loro qualità di vita. Infatti, parallelamente al PIL è spesso cresciuta anche la miseria e si è ampliata la forbice tra ricchi e poveri e tra i vari nord e sud.
In questi anni sono profondamente mutate nel nostro paese identità personali e collettive. E’ cambiato sia il senso di cittadinanza che di appartenenza. Il dato politico è che venti anni fa, dalle elezioni del giugno del 1987 emersero ancora due grandi blocchi. Il primo, rappresentato dalla forza elettorale della DC che raggiunse ancora in quell’anno il 34.3% dei consensi. Il secondo, concentrato nei due partiti di sinistra, il PCI ed il PSI, che superarono insieme il tetto del 40.8% dei voti. Oggi il PD, - che analogamente alla DC si configura come un partito interclassista di centro (che guarda a sinistra?) - raccoglie un consenso simile a quello della DC (33.7%), mentre la sinistra è scomparsa ed ha preso il suo posto, con oltre il 50% dei voti, un blocco di partiti di centrodestra di cui un soggetto politico, la PDL, rappresenta una destra populista capace di concentrare su di sé oltre il 38% dei consensi. C’è chi parla di una vera e propria mutazione antropologica avvenuta nel nostro paese negli ultimi vent’anni. Veltroni oggi dichiara che l’imprenditore è un lavoratore come gli altri, anzi un lavoratore che rischia. Montezemolo gli fa eco rispondendo che i lavoratori preferiscono l’impresa ai sindacati. L’uno definisce “ambientalisti del no” gran parte degli ecologisti. L’altro apostrofa i sindacalisti quali “professionisti del veto”. Entrambi reclamano un paese nuovo, più veloce, un paese capace di crescere, cioè di far crescere il PIL. La Lega Nord, che presenta il più vecchio simbolo sulla scheda elettorale (sic!), sfonda nelle roccaforti storiche delle lotte sindacali e del movimento operaio organizzato, dove sono in atto profonde ristrutturazioni, e finanche in Emilia (7.1%). Al voto dei qualunquisti e dei protestatari la Lega aggiunge e consolida anche quello di tanti lavoratori abituati a far valere i propri diritti.
La sinistra, cancellata dal Parlamento, non ha avuto alcuna preventiva percezione della disfatta alla quale stava andando incontro probabilmente perché non ha compreso cosa è avvenuto nel nostro paese e, quindi, non ha capito i bisogni, le richieste e le paure di coloro che avrebbe voluto rappresentare. La Sinistra Arcobaleno è apparsa una sinistra “artificiale”. Un cartello elettorale, e non un soggetto politico in grado di dare risposte, che ha eccessivamente confidato in certezze identitarie che avrebbero dovuto garantire una “resistenza” che non c’è stata. La separazione consensuale delle forze del vecchio centrosinistra, la delusione del governo Prodi, il desiderio catartico di opposizione e l’eccessiva fiducia in un ormai inesistente zoccolo duro, hanno avuto l’unico effetto, alla fine, di far considerare “inutile” il voto alla Sinistra Arcobaleno il 13 e 14 aprile.
Ed allora che fare. Il PdCI è andato. I Verdi rischiano di evaporare. Concordo con quanti dicono che non possiamo attendere passivamente che Rifondazione Comunista svolga il proprio congresso… per poi decidere. C’è chi lo pensa. Io penso che limitarci a tifare per Vendola non serva a molto perché Vendola non andrà al congresso con una mozione che prevede lo scioglimento di Rifondazione. Ed allora, mi chiedo, se Vendola vincerà il congresso cosa accadrà? Scioglierà il partito dopo? Dopo aver vinto il congresso ed essere diventato segretario? Certo che no. Ed allora? Ed allora è possibile che chiederà a chi è fuori di costruire all’interno di Rifondazione la nuova sinistra. E’ questo che vogliamo? E se invece Vendola perde… cosa accadrà? O se invece lo scontro in atto, cosa molto probabile a mio avviso, si trasformerà in mediazione? Insomma tutto questo mi convince che non possiamo e non dobbiamo attendere. E mi convince che il movimento della Sinistra Democratica può avere un ruolo da svolgere se non apparirà più come un soggetto politico“virtuale”, come qualcuno ci ha definito in campagna elettorale, e se da subito si farà promotore di una costituente della sinistra partecipata dal basso e guidata da un nuovo gruppo dirigente.
Raffaele Porta-Coordinatore Regionale della Campania

giovedì 17 aprile 2008

Antonio Bossone si scatena contro la Sinistra


Antonio Bossone spara a zero sul fallimento della Sinistra L'Arcobaleno,in particolare sulla mancata elezione di Aurisicchio,parlamentare uscente che con l'amministrazione cittadina ha ingaggiato più di una battaglia "Sono stati puniti dal popolo,erano fuori dal tempo.".Ghigna sulla debacle della "gauche" irpina e lauretana l'ex sindaco "Ma dove sono finiti i documenti che Aurisicchio aveva in valigia?".Parla anche delle questioni locali "A questo punto non possiamo più perdere tempo dietro alle polemiche da botteguccia di questi esponenti che il popolo sia a livello comunale che nazionale ha bocciato,spero che capiscano la lezione e restino a casa."Bossone guarda al futuro,al tempo,quello nuovo del Berlusconismo e del federalismo fiscale,lanciando la nuova sfida "Non si può più aspettare,avere una concezione asfittica della realtà amministratiova,ma bisogna riflettere e recuperare rispetto al cambiamento,alle trasformazioni.Dobbiamo porre in essere una riforma della macchina amministrativa che guardi al paese che cambia,alla necessità di garantire miglioramenti della vivibilità,penso al solare.Per fare tutto ciò il comune,che è un'azienda deve cominciare ad investire,mettersi in gioco,non puntando solo sul poco consolidato rappresentato dai trasferimenti dello Stato,ma scommettendo da una riorganizzazione che parta dalle risorse umane.I dipendenti sono il punto nevralgico e più importante di questa nuova concezione.Ma bisogna che contribuiscano a creare le condizioni di cui parlavo prima,uscendo da quell'idea di ritenere l'Ente un luogo dove fare potere o peggio politica."Fissa delle tappe precise l'ex sindaco e capogruppo di maggioranza "Già la prossima relazione programmatica deve contenere questo cambiamento,altrimenti rischiamo di non correre insieme al Paese che cambia."Infine una stoccata sulle Comunità Montane "Spero che nellarco di 5 o 6 mesi il nuovo governo le faccia scomparire,in particolare quelle dove i comuni montani non sono rappresentati,dove le risorse finiscono solo per finanziare gli stipendi di chi ha la politica come unica entrata mensile."Un fiume in piena,un vulcano l'ex sindaco che si prepara all'appuntamento con l'approvazione del Bilancio previsto a fine mese.
dal corriere dell'irpinia

mercoledì 16 aprile 2008

e adesso? si riparte/2 la sinistra può avere futuro


Il 14 aprile 2008, il 900 è finito. Socialismo e Comunismo, le grandi correnti culturali ed i grandi movimenti di lotta che i due termini evocano e che hanno caratterizzato e dato senso al secolo breve, sembrano usciti dall’orizzonte politico del nostro paese. La terza repubblica, di cui la tornata elettorale pare segnare l’inizio, nasce senza una sinistra politica.
Ciò è avvenuto negli stessi giorni in cui la FAO denuncia allarmata che in tutto il mondo c’è carestia – fenomeno che ci avevano detto che nella modernità non si sarebbe presentato - e i media, anche se relegandole in terzo e quarto piano, danno notizia di sommosse e morti per il pane in diversi paesi di questo pianeta. Senza dire che anche in questi giorni all’ininterrotta catena delle morti sul lavoro in terra italiana si sono saldati altri anelli.
Sembra dunque uno scherzo della Storia che la sinistra esca dalla scena parlamentare italiana proprio quando, per scongiurare la tragedia che incombe sul mondo ed anche sul nostro paese, di lei c’è maggiormente bisogno.
Il soprassalto d’ordine che sta sotto i risultati elettorali del nostro paese, in particolare delle regioni “ricche”, segnala che, di fronte all’annuncio che la pressione sui paesi “ricchi” delle migrazioni dei poveri è destinata ad aumentare e di fronte alla constatazione che gli effetti della recessione innescata dai sub prime statunitensi si scaricano anche su di noi, la tendenza a rinchiudersi nel proprio individualismo sta contaminando anche le fasce sociali in cui la solidarietà era più di casa. Non è una novità: quando si prevedono tempi tristi, se non nasce a sinistra la prospettiva di una risposta, la si cerca a destra. Il che – lo insegna la storia – è irto di rischi.
Sui motivi per i quali una risposta plausibile non la si è apprestata a sinistra si aprirà un dibattito ed un regolamento di conti che è facile prevedere sarà tanto più inconcludente quanto più feroce sarà. Bisognerebbe invece evitare di appuntarsi su ragioni contingenti, più di tattica che di strategia, più di breve momento che di respiro ampio, per cercare in profondità le ragioni per le quali La Sinistra l’Arcobaleno non si è presentato credibile.
La prima e più evidente è che il tentativo è stato strozzato sul nascere dal precipitare della crisi di governo e dallo scioglimento delle camere. Bisogna riconoscere però che le formazioni che hanno promosse questa esperienza si sono presentate all’appuntamento, quale più, quale meno, largamente impreparate. Perché l’esigenza d’innovazione c’è.
La crisi della democrazia, quella della rappresentanza, l’ indebolimento dello stato-nazione non sono fatti contingenti; sono tra gli esiti della fase calante della parabola della modernità. Siamo ad un passaggio di epoca: paradigmi interpretativi, categorie concettuali e forme dell’agire, quali la forma partito, valide un tempo, sono oggi sorpassate. In una società complessa, nella quale l’intreccio delle relazioni cresce ed il numero delle decisioni si moltiplica, i tempi di reazione si allungano mentre la rapidità è un’esigenza, il problema del funzionamento delle istituzioni si pone.
Veltroni e, al suo seguito, Berlusconi hanno presentato la loro soluzione. Ambedue, pur con qualche differenza, vanno nella medesima direzione: a livello di società, la liquefazione delle soggettività e la loro confluenza in un’unica ed indistinta identità, quella della cittadinanza; a livello politico, la semplificazione del quadro mediante la formazione di aggregazioni non uniformi, ma compatte, in cui le identità si diluiscono sino a sfumare, ed imperniate sulla figura del leader come condizione perché il bipolarismo funzioni.
Delle due soluzioni possibili hanno scelto quella di rastremare la piramide del potere, concentrandolo. Potremo chiamare questo modello della democrazia dispotica oppure del dispotismo democratico, a seconda di come verrà gestito. Di questo si tratta.
L’altra soluzione, quella di rompere la chiusura individualistica in cui la società si è frammentata sotto la spinta dell’iperliberismo, altro frutto avvelenato della crisi della modernità, e di rinverdire la forza delle soggettività, esaltare la ricchezza della diversità dei soggetti sociali, strutturare a rete il potere moltiplicando i punti in cui si decide, facendo della partecipazione quindi un dato concreto ed efficace, quest’altra soluzione la sinistra non l’ha proposta. Nemmeno, forse, l’ha pensata. Qui sta a mio avviso la causa profonda della sconfitta dell’Arcobaleno. Le altre, la fallita esperienza di governo, lo scarso entusiasmo di alcune componenti, le rivalità e quant’altro, che pure ci sono state, contano assai meno.
Da qui dobbiamo partire.
L’innovazione che Veltroni e Berlusconi hanno proposto aderisce al vecchio paradigma della modernità e ne accetta tutte le conseguenze, cercando il primo solo di attenuarne l’impatto, se può; proponendo l’altro l’esaltazione dell’individualismo, crepi chi non ce la fa. Ambedue invocano la “crescita”, negandone la carica distruttrice per le persone e per l’ambiente.
La sfida che la sinistra ha di fronte è apprestare e praticare un paradigma nuovo della modernità. Su questo la sinistra deve rifondare la sua cultura. Un paradigma nel quale convergano gli apporti della lezione marxiana e quella del femminismo, l’apporto fondamentale dell’ecologismo e quello non meno importante del pacifismo; un paradigma capace di finalizzare scienza e tecnologia alla liberazione delle donne, degli uomini e della natura, sottraendoli al dominio del capitale. Un paradigma che serva a leggere la realtà e a trasformarla.
Il 14 aprile è finito il secolo breve. Non la storia.
Il pianeta, per dirla con Domenico De Masi, è a un bivio,: o la disperazione degli affamati del mondo porrà fine alla follia dell’Occidente e gli imporrà di cambiare modello di economia (leggi globalizzazione) e gli assetti delle società (leggi società di mercato), oppure gli equilibri ambientali si romperanno irrimediabilmente.
Un’alternativa però ci potrebbe essere: che sia l’Occidente a porre fine alla propria follia.
La sinistra potrebbe provarci. Anzi dovrebbe. La strada certo è in salita. Ma la natura che geme e le donne e gli uomini che soffrono chiedono di percorrerla
Dobbiamo cominciare dunque da capo. Ma non da zero, perché energie, movimenti, saperi per ricostruire la sinistra ci sono.

e adesso? si riparte:unità senza se e senza ma


E’ l’unico modo per far fronte all’’onda anomala” che si è abbattuta sulla sinistra. Il gorgo da cui nasce quest’onda anomala è profondo e travalica limiti ed errori immediati commessi in questa campana elettorale. Le ragioni della sconfitta vengono da lontano, vanno analizzate e capite. Per questo occorre subito una scelta d’unità e non solo per evitare di andare ai particolari della ricerca della pagliuzza nell’occhio del vicino. Non possiamo attendere, bisogna rincorrere la storia, ma, nel contempo, occorre un’analisi e una ricerca militante riprendendo la lotta e l’impegno politico per capire, con il nostro popolo, cosa è avvenuto nel profondo della società italiana.
Non “un destino cinico e baro” o un golpe hanno estromesso la Sinistra, e i Socialisti dal Parlamento, ma un voto democratico. Ci hanno affossato l’astensione e il voto utile, ma questo rafforza il fatto che il voto chiude la storia della Prima Repubblica e ci consegna un quadro politico dove il conflitto sociale viene espulso dalle istituzioni.
I Partiti oggi presenti nel Parlamento, a partire dai due maggiori PD, PdL hanno proposto un modello di democrazia che non nasce dal conflitto sociale, che è la base della democrazia, ma sul patto tra produttori, la negazione del conflitto. Si afferma così una “democrazia autoritaria”. La sinistra deve ripartire da questa analisi, fronteggiare questo fenomeno per ricostruire il radicamento oggi devastato, di cui la sconfitta elettorale è solo l’aspetto emergente.
Nel Veneto i fenomeni presenti a livello nazionale appaiono ancora più accentuati: forte è la nostra sconfitta, il consenso al Partito Democratico rimane stagnante, anzi flette del 2% a Padova e Rovigo, si allarga la forbice tra centrodestra e centrosinistra, dirompente è l’affermazione della Lega.
Il fallimento del Partito democratico sull’ipotesi della conquista del consenso su un’opzione moderata è evidente, proprio a Vicenza, dove si era prodotto il massimo di questa proposta: la candidatura Calearo non ha effetto, anzi qui si registra la massima crescita del distacco tra centro destra e centro sinistra, dal 22% del 2006 si passa all’attuale 28%. L’idea perversa di conquistare i lavoratori attraverso i loro padroni sul terreno della subalternità crolla miseramente proprio a Vicenza.
La Lega, che nel 2006 era all’11%, raddoppia e, a Padova e Rovigo, triplica la propria forza elettorale. A Verona sfiora il 33% ed è il primo partito a Vicenza, Verona, Treviso e Belluno.
Bisogna domandarci cosa è successo in questi 24 mesi e quanto di questo terremoto viene da lontano. L’effetto del governo Prodi, le mancate risposte a speranze e aspettative ha avuto un aspetto devastante, con l’emorragia di consenso non solo da Forza Italia e dal centro sinistra, ma anche da sinistra alla Lega. Non siamo di fronte ad un voto di protesta, si è invece radicalizzata una profonda insoddisfazione che va da Roma, all’immigrato, all’erba più verde del vicino Trentino o Friulano. Il Veneto di Galan e della Lega è una Regione in dissoluzione: i comuni di confine con il Trentino e il Friuli promuovono e votano a grande maggioranza referendum per l’annessione alle altre regioni a Statuto speciale.
La crisi ha rotto i meccanismi di solidarietà e coesione sociale ed è crisi d’identità e di certezze dell’avvenire. In una regione dove si è assistito al più ampio e violento cambiamento di condizione sociale, nel rapido passaggio dagli anni ’50 agli anni ’60, dalla miseria dei fittavoli e dei mezzadri e l’emigrazione, alla piena occupazione, con diffuso doppio lavoro, al piccolo e grande conto in banca dell’operaio e del padroncino, dalla stalla a “villettopoli”, si è passati, già negli anni ’90, all’incertezza. La lettura della precarietà fa sì che i padri non siano più sicuri che i figli staranno meglio di loro, come è stato per trent’anni.
Quando la Lega sfonda con il consenso popolare, in modo così diffuso, e in particolare, in modo ancor più marcato, nelle roccaforti della lotta sindacale e del movimento operaio organizzato, come a Valdagno, a Conegliano o a Schio, significa che l’operaio e il piccolo imprenditore pongono ansie e problemi in mano alla Lega. La Lega cresce dove sono in atto profonde ristrutturazioni, alla Marzotto, all’Elettrolux, alla Zoppas, in tante piccole e medie aziende, nella delocalizzazione verso l’est e il terzo mondo che coinvolge operai e piccoli artigiani.
Non siamo di fronte a “gente” che protesta, ma popolo e lavoratori abituati a lottare e far valere diritti. Qui avviene la rottura storica e più drammatica per la sinistra: chi è al centro di duri scontri sociali pone la propria condizione in mano alla Lega, consapevole che la Lega non ha nel proprio programma e nella propria pratica il rapporto tra politica e scontro sociale. Quel lavoratore sa che la Lega, come il PD di Calearo e il PdL di Berlusconi, sono per rispondere alla crisi del potere d’acquisto, con i premi di produttività, che nella piccola azienda, come nella grande azienda in crisi, non sono contrattabili. Sa bene che la lotta alla precarietà non è nelle scelte politiche della Lega. Qui avviene una prima e insanabile rottura della solidarietà. Ma a queste questioni non trova risposta nel PD, la sinistra è lontana, il sindacato inefficace. In questo quadro avviene la rottura tra condizione sociale e politica e trova spazio, non la protesta, ma la convinzione-illusione che il cambiamento sovrastrutturale - fine di Roma ladrona, federalismo, meno immigrati, meno paura per il lavoro e il diverso - la politica astratta dalla lotta sociale, possano rinnovare certezze e speranze di cambiamento. Un popolo abituato alla moderazione, ma non conservatore - la DC veneta era un partito moderato ma non conservatore, anzi costruttore di profondi cambiamenti e innovazione sociale ed economica – entra in un orbita di conservazione con risvolti populisti e pulsioni eversive.
Su questo terreno si rompe il nesso tra la lotta sociale e la politica e si apre la spirale perversa di una democrazia autoritaria che espelle dalle sedi istituzionali il conflitto sociale.
Si ripete inoltre, nel Veneto, un fenomeno permanente: l’incapacità di dare continuità politica ai movimenti. Anche rispetto a questo il Veneto rappresenta uno spaccato più accentuato di una questione nazionale. Negli ultimi anni, il movimento per la pace ha avuto un estensione ed un’intensità fortissime. Oltre alle grandi manifestazioni, anche nell’ultima frazione del paese più sperso sventolavano alle finestre le bandiere arcobaleno della pace. Il movimento era costruito dal basso molto spesso da singoli o associazioni cattoliche, nelle parrocchie e in molti luoghi di aggregazione spontanea. La lotta contro la base USA d Vicenza ha rappresentato l’apice di questo movimento. Le scelte del governo, tentennamenti e titubanze della sinistra hanno provocato una rottura col movimento alimentato vecchie e radicate diffidenze. Si è rotta la continuità tra la politica e il movimento, ricacciato indietro una crescita ed una evoluzione politica proprio per questa rottura. Ma così è stato, sul terreno della lotta per l’ambiente, per il No Mose e per le numerose e ricche esperienze cresciute nel territorio.
La sinistra, in questa fase storica non riesce ad intrecciare questione sociale, lotte operaie, movimenti ecologisti, battaglie per i diritti civili con la politica, non riesce a dare sbocco politico istituzionale a lotte e movimenti che crescono nel territorio.
Nasce da qui l’espulsione del conflitto dalle istituzioni, da qui l’espulsione della sinistra dal Parlamento.
Siamo perciò di fronte a un lavoro di analisi e di ricostruzione di legami organizzativi e di radicamento sociale di lunga durata, che ha bisogno subito però di unità. Non c’è rappresentanza nel Parlamento, e questo è molto grave, ma rimane una fitta rete di donne e uomini militanti nel territorio che si salda con i livelli istituzionali locali e che non può essere dispersa in mille rivoli di diverse e rissose esperienze politiche. Militanza, saperi conoscenza del territorio delle contraddizioni sociali e nei luoghi di lavoro che va messa in rete per riprendere il cammino della lotta e dell’analisi.

giovedì 10 aprile 2008

Bossone querela Corbisiero


-“Ho appreso che ieri la giunta ha dato mandato ai legali per valutare una querela nei miei confronti per alcune dichiarazioni alla stampa,non voglio fare polemiche ma al sindaco Vito Bossone ricordo la frase di un grande illuminista, Voltaire;”non condivido la tua idea,ma darò la vita perché tu possa esprimerla”.Così Giacomo Corbisiero ha risposto all’atto della giunta che ha dato mandato ai legali di denunciare l’esponente della Sinistra Arcobaleno per un articolo apparso nel marzo scorso.Una vicenda che rischia di diventare un caso alla vigilia del voto,anche perché la platea dell’Auditorium della Collegiata,gremita per la manifestazione di chiusura della campagna elettorale ha tributato al giovane esponente di Sinistra Democratica una standing ovation,quando chiudendo il suo intervento,insolitamente soft,ha ricordato questa vicenda.Tra amministrazione e Sinistra si apre un contenzioso,non più solo politico,ma anche giudiziario.Una nuova strategia quella dell’Amministrazione,perché Corbisiero può quantomeno essere contento di stare in buona ed illustre compagnia.Nel mirino dei legali dell’Ente sono già finiti il direttore di uno dei maggiori quotidiani italiani Ezio Mauro e Raffaele Aurisicchio,il parlamentare di Sd anche lui presente ieri alla manifestazione di partito.

domenica 30 marzo 2008

La questione dei rifiuti a Lauro non è mai stata risolta



Questo è periodo di campagna elettorale, momento in cui ci si dimentica dei tanti problemi locali per reinventarsi grandi politologi e oratori. Noi di Sinistra Democratica non vogliamo seguire questa scia e anche in periodo elettorale intendiamo denunciare a gran voce le storture che animano il nostro paese, intendiamo sottolineare le carenze della macchina ammnistrativa. A malincuore ci troviamo a sottolineare il fallimento del piano di raccolta differenziata. Avevamo visto bene qualche mese fa quando a seguitodello scandalo della discarica abusiva di via Migliano chiedemmo, voce isolata, le dimissione dell'assessore all'ambiente, reo non solo di aver mentito sull'argomento ma anche di perseverare per quanto concerneva la questione raccolta differenziata. Fummo subissati dalle critiche, derise ed insultati e finanche oggetti di vendette poco politiche e molto personali. Ma oggi basta osservare in prossimità delle campane per la raccolta vetro, la situazione è squallida vergognosa penosa. Una domanda ci sorge spontanea: non eravamo il paese con il 55% di raccolta differenziata? perchè da mesi le campane non vengono svuotate? Per completezza di informazione alleghiamo le foto di piazza Mercato. Oramai appare sempre più evidente il fallimento dell'amministrazione nel campo dei rifiuti, ci aspettiamo che qualcuno abbia uno scatto di orgoglio e decida finalmente di invertire la rotta di questa nave.