Sinistra democratica per il Socialismo Europeo è un movimento politico organizzato che si richiama agli ideali del socialismo e alle tradizioni culturali della sinistra che hanno contribuito alla fondazione della Repubblica democratica. L'obiettivo di avviare un ampio processo unitario, che in prospettiva coinvolga tutta la sinistra italiana nella costruzione di una nuova più grande forza politica, costituisce la ragion d'essere del movimento.

mercoledì 30 aprile 2008

Sinistra Democratica che fare???


Dopo la pesante sconfitta del 13 e 14 aprile, è ineludibile la domanda: serve ancora Sinistra democratica? Noi pensiamo che possa servire, perché c'è in Italia uno spazio politico, sociale e culturale a sinistra del PD, e perché in campagna elettorale i quadri e i militanti di SD hanno mostrato di esserci, numerosi e combattivi.
Per rilanciare l'iniziativa di SD, bisogna però recuperare due elementi centrali nella nostra originaria proposta, - la cultura di governo e l'identità socialista - abbandonati nei successivi drammatici mesi, e bisogna dare una struttura, leggera e democratica, al nostro movimento.
Il 5 maggio dell'anno scorso parlammo (tra l'altro) di una "sinistra di governo". Questa non c'è stata nell'ultimo biennio, e non per nostra responsabilità. Sia ben chiaro, non parliamo di una sinistra che voglia governare ad ogni costo, e che subordini tutto alla conquista e al mantenimento del potere. Questa è stata la strada seguita dalla maggioranza dei DS prima e dal PD poi. Ha portato anche loro a una pesante sconfitta.
Parliamo di una sinistra che parta dai suoi ideali e dai suoi valori, e da una cultura critica del mondo in cui viviamo. Ma che sappia tradurre gli uni e l'altra anzitutto nel radicamento nella società, in secondo luogo in concrete indicazioni per il cambiamento, infine in una credibile proposta politica, a partire dalle alleanze (politiche e sociali). E si ponga quindi l'obiettivo di costruire un nuovo centro-sinistra.
Seconda questione. Ci siamo chiamati "Sinistra democratica per il socialismo europeo". Ma la seconda parte del nostro nome è scomparsa. Va ripresa e rilanciata. Anche perché esiste in Italia un mondo socialista (una cultura politica, e un elettorato potenziale) certamente non limitato allo zero virgola qualcosa per cento. E' possibile che affermare la nostra identità socialista ponga un problema a una parte delle forze con cui va costruito il nuovo partito della sinistra. Ma questa difficoltà non è una ragione sufficiente per rimuovere il tema. Anche perché sarebbe riduttivo chiamarsi socialisti solo per definire un'identità o un'appartenenza organizzativa. Socialismo oggi vuol dire porre il tema del governo, nei termini che abbiamo cercato prima di indicare sommariamente. Del resto, se stessimo in un altro paese europeo saremmo nel partito socialista di quel paese, e ne costituiremmo l'ala sinistra.
Infine, il percorso delle prossime settimane. Dobbiamo assumere scelte politiche di fondo, e le conseguenti iniziative nel paese e verso gli altri partiti della sinistra; decidere il necessario rinnovamento del gruppo dirigente; assicurare la presenza nel territorio.
L'idea che sarebbe stato inutile, anzi dannoso, darsi un minimo di regole e di struttura (per evitare di fondare un nuovo "partitino") si è rivelata alla prova dei fatti un'illusione. L'illusione di avere più tempo, e l'illusione che comunque il nuovo soggetto politico della sinistra (unitario e plurale) era a portata di mano. Così non è stato e non è.
Per questo riteniamo che Sinistra democratica deve darsi da subito una struttura, leggera e democratica. Come farlo?
Fra le molte promesse mancate di Sinistra Democratica troviamo di certo quella di un nuovo modo di far politica. La critica alla riduzione oligarchica dei processi democratici, alla mancanza di partecipazione da parte di iscritti e militanti, alla assunzione di decisioni in sedi ristrette e poco trasparenti era stata per molti decisiva nella scelta di uscire dai DS con l'ultimo congresso. Pensavamo che nel PD non sarebbe andata meglio. Anche per questo abbiamo scelto un'altra strada. Ma quella che abbiamo preso non ha realizzato le speranze.
Pensiamo che, dopo la catastrofe del voto, la musica debba cambiare. Abbiamo affrontato una campagna elettorale difficilissima. Compagne e compagni in tutto il paese si sono battuti fino all'ultimo, per un risultato che diventava ogni giorno più difficile. Ora, dopo il terremoto, a loro dobbiamo rivolgerci perché indichino la strada da seguire e scelgano il nuovo gruppo dirigente.
Per questo non ci persuade l'idea di tornare al Comitato promotore, perché elegga un altro coordinatore, che formi una nuova presidenza, che apra un dibattito dai contorni e delle modalità imprecisate. Il Comitato promotore era ed è in buona parte diretta filiazione del congresso DS. Doveva avere una funzione transitoria, e per questo il nostro Statuto provvisorio - consultabile sul sito - gli assegna esclusivamente il compito di "lanciare la fase di adesione al Movimento". Quella fase è alle nostre spalle. E' giusto e corretto che a partecipare e a decidere le scelte di oggi siano le compagne e i compagni che oggi, qui ed ora, hanno fatto o confermato le loro scelte e sono scesi in campo.
Proponiamo un altro percorso per SD. Un percorso innovativo, un pezzo di riforma della politica. Convocare al più presto assemblee territoriali, per esempio a livello provinciale, di tutte le compagne e i compagni che hanno aderito a SD, hanno partecipato alla campagna elettorale, e intendono proseguire il loro impegno nel nostro Movimento. Assemblee aperte a tutti quelli che a sinistra volessero partecipare e contribuire. Assemblee che sarebbero per noi l'equivalente di una grande primaria democratica sul progetto, perché convocate per discutere di politica, e non per l'elezione plebiscitaria di un leader. E che, sulla base della discussione politica, eleggano i propri rappresentanti per una grande Assemblea nazionale chiamata a decidere, entro giugno, sulla linea politica e sul nuovo gruppo dirigente nazionale.
Noi e la sinistra abbiamo bisogno di cambiamento vero. E non possiamo consentirci altri errori. Il primo errore sarebbe non dare la parola, per decidere davvero, a tutti coloro che si sono guadagnati sul campo tale diritto.
di Cesare Salvi e Massimo Villone -Comitato Promotore SD

Adesso tocca a Sinistra Democratica


La più significativa e preoccupante conseguenza del voto del 13 e 14 aprile - prima ancora dell’assenza nel prossimo Parlamento di una forza dichiaratamente di sinistra - è stata la schiacciante vittoria della destra. Una destra nè moderata nè conservatrice di stampo europeo, ma semplicemente populista. La lunga transizione politica, iniziata nel nostro paese con tangentopoli ed il dissolvimento dei tradizionali partiti di massa alla fine degli anni ’80, se non può dirsi terminata, sembra essere comunque giunta in prossimità di una sua probabile chiusura. Appare pertanto semplicistico qualsiasi schema interpretativo del risultato delle recenti elezioni se non si scava in profondità per comprendere quali processi economici, culturali e socio-politici hanno determinato la chiusura “a destra” di un lungo periodo di transizione caratterizzato dai crescenti fenomeni di globalizzazione, precarizzazione e frammentazione sociale.
Dalla seconda metà degli anni settanta il modello keynesiano, che aveva coniugato la crescita e lo sviluppo con il benessere delle comunità, è stato via via sostituito, e non solo nel nostro paese, da un modello in cui l’economia non è stata più governata dalla politica. Le leggi del mercato hanno da allora preso il sopravvento e l’aumento del PIL ha sempre più rappresentato il principale parametro di una crescita e di uno sviluppo indistinti. Perchè il PIL da solo non misura il benessere di uomini e donne né la loro qualità di vita. Infatti, parallelamente al PIL è spesso cresciuta anche la miseria e si è ampliata la forbice tra ricchi e poveri e tra i vari nord e sud.
In questi anni sono profondamente mutate nel nostro paese identità personali e collettive. E’ cambiato sia il senso di cittadinanza che di appartenenza. Il dato politico è che venti anni fa, dalle elezioni del giugno del 1987 emersero ancora due grandi blocchi. Il primo, rappresentato dalla forza elettorale della DC che raggiunse ancora in quell’anno il 34.3% dei consensi. Il secondo, concentrato nei due partiti di sinistra, il PCI ed il PSI, che superarono insieme il tetto del 40.8% dei voti. Oggi il PD, - che analogamente alla DC si configura come un partito interclassista di centro (che guarda a sinistra?) - raccoglie un consenso simile a quello della DC (33.7%), mentre la sinistra è scomparsa ed ha preso il suo posto, con oltre il 50% dei voti, un blocco di partiti di centrodestra di cui un soggetto politico, la PDL, rappresenta una destra populista capace di concentrare su di sé oltre il 38% dei consensi. C’è chi parla di una vera e propria mutazione antropologica avvenuta nel nostro paese negli ultimi vent’anni. Veltroni oggi dichiara che l’imprenditore è un lavoratore come gli altri, anzi un lavoratore che rischia. Montezemolo gli fa eco rispondendo che i lavoratori preferiscono l’impresa ai sindacati. L’uno definisce “ambientalisti del no” gran parte degli ecologisti. L’altro apostrofa i sindacalisti quali “professionisti del veto”. Entrambi reclamano un paese nuovo, più veloce, un paese capace di crescere, cioè di far crescere il PIL. La Lega Nord, che presenta il più vecchio simbolo sulla scheda elettorale (sic!), sfonda nelle roccaforti storiche delle lotte sindacali e del movimento operaio organizzato, dove sono in atto profonde ristrutturazioni, e finanche in Emilia (7.1%). Al voto dei qualunquisti e dei protestatari la Lega aggiunge e consolida anche quello di tanti lavoratori abituati a far valere i propri diritti.
La sinistra, cancellata dal Parlamento, non ha avuto alcuna preventiva percezione della disfatta alla quale stava andando incontro probabilmente perché non ha compreso cosa è avvenuto nel nostro paese e, quindi, non ha capito i bisogni, le richieste e le paure di coloro che avrebbe voluto rappresentare. La Sinistra Arcobaleno è apparsa una sinistra “artificiale”. Un cartello elettorale, e non un soggetto politico in grado di dare risposte, che ha eccessivamente confidato in certezze identitarie che avrebbero dovuto garantire una “resistenza” che non c’è stata. La separazione consensuale delle forze del vecchio centrosinistra, la delusione del governo Prodi, il desiderio catartico di opposizione e l’eccessiva fiducia in un ormai inesistente zoccolo duro, hanno avuto l’unico effetto, alla fine, di far considerare “inutile” il voto alla Sinistra Arcobaleno il 13 e 14 aprile.
Ed allora che fare. Il PdCI è andato. I Verdi rischiano di evaporare. Concordo con quanti dicono che non possiamo attendere passivamente che Rifondazione Comunista svolga il proprio congresso… per poi decidere. C’è chi lo pensa. Io penso che limitarci a tifare per Vendola non serva a molto perché Vendola non andrà al congresso con una mozione che prevede lo scioglimento di Rifondazione. Ed allora, mi chiedo, se Vendola vincerà il congresso cosa accadrà? Scioglierà il partito dopo? Dopo aver vinto il congresso ed essere diventato segretario? Certo che no. Ed allora? Ed allora è possibile che chiederà a chi è fuori di costruire all’interno di Rifondazione la nuova sinistra. E’ questo che vogliamo? E se invece Vendola perde… cosa accadrà? O se invece lo scontro in atto, cosa molto probabile a mio avviso, si trasformerà in mediazione? Insomma tutto questo mi convince che non possiamo e non dobbiamo attendere. E mi convince che il movimento della Sinistra Democratica può avere un ruolo da svolgere se non apparirà più come un soggetto politico“virtuale”, come qualcuno ci ha definito in campagna elettorale, e se da subito si farà promotore di una costituente della sinistra partecipata dal basso e guidata da un nuovo gruppo dirigente.
Raffaele Porta-Coordinatore Regionale della Campania

giovedì 17 aprile 2008

Antonio Bossone si scatena contro la Sinistra


Antonio Bossone spara a zero sul fallimento della Sinistra L'Arcobaleno,in particolare sulla mancata elezione di Aurisicchio,parlamentare uscente che con l'amministrazione cittadina ha ingaggiato più di una battaglia "Sono stati puniti dal popolo,erano fuori dal tempo.".Ghigna sulla debacle della "gauche" irpina e lauretana l'ex sindaco "Ma dove sono finiti i documenti che Aurisicchio aveva in valigia?".Parla anche delle questioni locali "A questo punto non possiamo più perdere tempo dietro alle polemiche da botteguccia di questi esponenti che il popolo sia a livello comunale che nazionale ha bocciato,spero che capiscano la lezione e restino a casa."Bossone guarda al futuro,al tempo,quello nuovo del Berlusconismo e del federalismo fiscale,lanciando la nuova sfida "Non si può più aspettare,avere una concezione asfittica della realtà amministratiova,ma bisogna riflettere e recuperare rispetto al cambiamento,alle trasformazioni.Dobbiamo porre in essere una riforma della macchina amministrativa che guardi al paese che cambia,alla necessità di garantire miglioramenti della vivibilità,penso al solare.Per fare tutto ciò il comune,che è un'azienda deve cominciare ad investire,mettersi in gioco,non puntando solo sul poco consolidato rappresentato dai trasferimenti dello Stato,ma scommettendo da una riorganizzazione che parta dalle risorse umane.I dipendenti sono il punto nevralgico e più importante di questa nuova concezione.Ma bisogna che contribuiscano a creare le condizioni di cui parlavo prima,uscendo da quell'idea di ritenere l'Ente un luogo dove fare potere o peggio politica."Fissa delle tappe precise l'ex sindaco e capogruppo di maggioranza "Già la prossima relazione programmatica deve contenere questo cambiamento,altrimenti rischiamo di non correre insieme al Paese che cambia."Infine una stoccata sulle Comunità Montane "Spero che nellarco di 5 o 6 mesi il nuovo governo le faccia scomparire,in particolare quelle dove i comuni montani non sono rappresentati,dove le risorse finiscono solo per finanziare gli stipendi di chi ha la politica come unica entrata mensile."Un fiume in piena,un vulcano l'ex sindaco che si prepara all'appuntamento con l'approvazione del Bilancio previsto a fine mese.
dal corriere dell'irpinia

mercoledì 16 aprile 2008

e adesso? si riparte/2 la sinistra può avere futuro


Il 14 aprile 2008, il 900 è finito. Socialismo e Comunismo, le grandi correnti culturali ed i grandi movimenti di lotta che i due termini evocano e che hanno caratterizzato e dato senso al secolo breve, sembrano usciti dall’orizzonte politico del nostro paese. La terza repubblica, di cui la tornata elettorale pare segnare l’inizio, nasce senza una sinistra politica.
Ciò è avvenuto negli stessi giorni in cui la FAO denuncia allarmata che in tutto il mondo c’è carestia – fenomeno che ci avevano detto che nella modernità non si sarebbe presentato - e i media, anche se relegandole in terzo e quarto piano, danno notizia di sommosse e morti per il pane in diversi paesi di questo pianeta. Senza dire che anche in questi giorni all’ininterrotta catena delle morti sul lavoro in terra italiana si sono saldati altri anelli.
Sembra dunque uno scherzo della Storia che la sinistra esca dalla scena parlamentare italiana proprio quando, per scongiurare la tragedia che incombe sul mondo ed anche sul nostro paese, di lei c’è maggiormente bisogno.
Il soprassalto d’ordine che sta sotto i risultati elettorali del nostro paese, in particolare delle regioni “ricche”, segnala che, di fronte all’annuncio che la pressione sui paesi “ricchi” delle migrazioni dei poveri è destinata ad aumentare e di fronte alla constatazione che gli effetti della recessione innescata dai sub prime statunitensi si scaricano anche su di noi, la tendenza a rinchiudersi nel proprio individualismo sta contaminando anche le fasce sociali in cui la solidarietà era più di casa. Non è una novità: quando si prevedono tempi tristi, se non nasce a sinistra la prospettiva di una risposta, la si cerca a destra. Il che – lo insegna la storia – è irto di rischi.
Sui motivi per i quali una risposta plausibile non la si è apprestata a sinistra si aprirà un dibattito ed un regolamento di conti che è facile prevedere sarà tanto più inconcludente quanto più feroce sarà. Bisognerebbe invece evitare di appuntarsi su ragioni contingenti, più di tattica che di strategia, più di breve momento che di respiro ampio, per cercare in profondità le ragioni per le quali La Sinistra l’Arcobaleno non si è presentato credibile.
La prima e più evidente è che il tentativo è stato strozzato sul nascere dal precipitare della crisi di governo e dallo scioglimento delle camere. Bisogna riconoscere però che le formazioni che hanno promosse questa esperienza si sono presentate all’appuntamento, quale più, quale meno, largamente impreparate. Perché l’esigenza d’innovazione c’è.
La crisi della democrazia, quella della rappresentanza, l’ indebolimento dello stato-nazione non sono fatti contingenti; sono tra gli esiti della fase calante della parabola della modernità. Siamo ad un passaggio di epoca: paradigmi interpretativi, categorie concettuali e forme dell’agire, quali la forma partito, valide un tempo, sono oggi sorpassate. In una società complessa, nella quale l’intreccio delle relazioni cresce ed il numero delle decisioni si moltiplica, i tempi di reazione si allungano mentre la rapidità è un’esigenza, il problema del funzionamento delle istituzioni si pone.
Veltroni e, al suo seguito, Berlusconi hanno presentato la loro soluzione. Ambedue, pur con qualche differenza, vanno nella medesima direzione: a livello di società, la liquefazione delle soggettività e la loro confluenza in un’unica ed indistinta identità, quella della cittadinanza; a livello politico, la semplificazione del quadro mediante la formazione di aggregazioni non uniformi, ma compatte, in cui le identità si diluiscono sino a sfumare, ed imperniate sulla figura del leader come condizione perché il bipolarismo funzioni.
Delle due soluzioni possibili hanno scelto quella di rastremare la piramide del potere, concentrandolo. Potremo chiamare questo modello della democrazia dispotica oppure del dispotismo democratico, a seconda di come verrà gestito. Di questo si tratta.
L’altra soluzione, quella di rompere la chiusura individualistica in cui la società si è frammentata sotto la spinta dell’iperliberismo, altro frutto avvelenato della crisi della modernità, e di rinverdire la forza delle soggettività, esaltare la ricchezza della diversità dei soggetti sociali, strutturare a rete il potere moltiplicando i punti in cui si decide, facendo della partecipazione quindi un dato concreto ed efficace, quest’altra soluzione la sinistra non l’ha proposta. Nemmeno, forse, l’ha pensata. Qui sta a mio avviso la causa profonda della sconfitta dell’Arcobaleno. Le altre, la fallita esperienza di governo, lo scarso entusiasmo di alcune componenti, le rivalità e quant’altro, che pure ci sono state, contano assai meno.
Da qui dobbiamo partire.
L’innovazione che Veltroni e Berlusconi hanno proposto aderisce al vecchio paradigma della modernità e ne accetta tutte le conseguenze, cercando il primo solo di attenuarne l’impatto, se può; proponendo l’altro l’esaltazione dell’individualismo, crepi chi non ce la fa. Ambedue invocano la “crescita”, negandone la carica distruttrice per le persone e per l’ambiente.
La sfida che la sinistra ha di fronte è apprestare e praticare un paradigma nuovo della modernità. Su questo la sinistra deve rifondare la sua cultura. Un paradigma nel quale convergano gli apporti della lezione marxiana e quella del femminismo, l’apporto fondamentale dell’ecologismo e quello non meno importante del pacifismo; un paradigma capace di finalizzare scienza e tecnologia alla liberazione delle donne, degli uomini e della natura, sottraendoli al dominio del capitale. Un paradigma che serva a leggere la realtà e a trasformarla.
Il 14 aprile è finito il secolo breve. Non la storia.
Il pianeta, per dirla con Domenico De Masi, è a un bivio,: o la disperazione degli affamati del mondo porrà fine alla follia dell’Occidente e gli imporrà di cambiare modello di economia (leggi globalizzazione) e gli assetti delle società (leggi società di mercato), oppure gli equilibri ambientali si romperanno irrimediabilmente.
Un’alternativa però ci potrebbe essere: che sia l’Occidente a porre fine alla propria follia.
La sinistra potrebbe provarci. Anzi dovrebbe. La strada certo è in salita. Ma la natura che geme e le donne e gli uomini che soffrono chiedono di percorrerla
Dobbiamo cominciare dunque da capo. Ma non da zero, perché energie, movimenti, saperi per ricostruire la sinistra ci sono.

e adesso? si riparte:unità senza se e senza ma


E’ l’unico modo per far fronte all’’onda anomala” che si è abbattuta sulla sinistra. Il gorgo da cui nasce quest’onda anomala è profondo e travalica limiti ed errori immediati commessi in questa campana elettorale. Le ragioni della sconfitta vengono da lontano, vanno analizzate e capite. Per questo occorre subito una scelta d’unità e non solo per evitare di andare ai particolari della ricerca della pagliuzza nell’occhio del vicino. Non possiamo attendere, bisogna rincorrere la storia, ma, nel contempo, occorre un’analisi e una ricerca militante riprendendo la lotta e l’impegno politico per capire, con il nostro popolo, cosa è avvenuto nel profondo della società italiana.
Non “un destino cinico e baro” o un golpe hanno estromesso la Sinistra, e i Socialisti dal Parlamento, ma un voto democratico. Ci hanno affossato l’astensione e il voto utile, ma questo rafforza il fatto che il voto chiude la storia della Prima Repubblica e ci consegna un quadro politico dove il conflitto sociale viene espulso dalle istituzioni.
I Partiti oggi presenti nel Parlamento, a partire dai due maggiori PD, PdL hanno proposto un modello di democrazia che non nasce dal conflitto sociale, che è la base della democrazia, ma sul patto tra produttori, la negazione del conflitto. Si afferma così una “democrazia autoritaria”. La sinistra deve ripartire da questa analisi, fronteggiare questo fenomeno per ricostruire il radicamento oggi devastato, di cui la sconfitta elettorale è solo l’aspetto emergente.
Nel Veneto i fenomeni presenti a livello nazionale appaiono ancora più accentuati: forte è la nostra sconfitta, il consenso al Partito Democratico rimane stagnante, anzi flette del 2% a Padova e Rovigo, si allarga la forbice tra centrodestra e centrosinistra, dirompente è l’affermazione della Lega.
Il fallimento del Partito democratico sull’ipotesi della conquista del consenso su un’opzione moderata è evidente, proprio a Vicenza, dove si era prodotto il massimo di questa proposta: la candidatura Calearo non ha effetto, anzi qui si registra la massima crescita del distacco tra centro destra e centro sinistra, dal 22% del 2006 si passa all’attuale 28%. L’idea perversa di conquistare i lavoratori attraverso i loro padroni sul terreno della subalternità crolla miseramente proprio a Vicenza.
La Lega, che nel 2006 era all’11%, raddoppia e, a Padova e Rovigo, triplica la propria forza elettorale. A Verona sfiora il 33% ed è il primo partito a Vicenza, Verona, Treviso e Belluno.
Bisogna domandarci cosa è successo in questi 24 mesi e quanto di questo terremoto viene da lontano. L’effetto del governo Prodi, le mancate risposte a speranze e aspettative ha avuto un aspetto devastante, con l’emorragia di consenso non solo da Forza Italia e dal centro sinistra, ma anche da sinistra alla Lega. Non siamo di fronte ad un voto di protesta, si è invece radicalizzata una profonda insoddisfazione che va da Roma, all’immigrato, all’erba più verde del vicino Trentino o Friulano. Il Veneto di Galan e della Lega è una Regione in dissoluzione: i comuni di confine con il Trentino e il Friuli promuovono e votano a grande maggioranza referendum per l’annessione alle altre regioni a Statuto speciale.
La crisi ha rotto i meccanismi di solidarietà e coesione sociale ed è crisi d’identità e di certezze dell’avvenire. In una regione dove si è assistito al più ampio e violento cambiamento di condizione sociale, nel rapido passaggio dagli anni ’50 agli anni ’60, dalla miseria dei fittavoli e dei mezzadri e l’emigrazione, alla piena occupazione, con diffuso doppio lavoro, al piccolo e grande conto in banca dell’operaio e del padroncino, dalla stalla a “villettopoli”, si è passati, già negli anni ’90, all’incertezza. La lettura della precarietà fa sì che i padri non siano più sicuri che i figli staranno meglio di loro, come è stato per trent’anni.
Quando la Lega sfonda con il consenso popolare, in modo così diffuso, e in particolare, in modo ancor più marcato, nelle roccaforti della lotta sindacale e del movimento operaio organizzato, come a Valdagno, a Conegliano o a Schio, significa che l’operaio e il piccolo imprenditore pongono ansie e problemi in mano alla Lega. La Lega cresce dove sono in atto profonde ristrutturazioni, alla Marzotto, all’Elettrolux, alla Zoppas, in tante piccole e medie aziende, nella delocalizzazione verso l’est e il terzo mondo che coinvolge operai e piccoli artigiani.
Non siamo di fronte a “gente” che protesta, ma popolo e lavoratori abituati a lottare e far valere diritti. Qui avviene la rottura storica e più drammatica per la sinistra: chi è al centro di duri scontri sociali pone la propria condizione in mano alla Lega, consapevole che la Lega non ha nel proprio programma e nella propria pratica il rapporto tra politica e scontro sociale. Quel lavoratore sa che la Lega, come il PD di Calearo e il PdL di Berlusconi, sono per rispondere alla crisi del potere d’acquisto, con i premi di produttività, che nella piccola azienda, come nella grande azienda in crisi, non sono contrattabili. Sa bene che la lotta alla precarietà non è nelle scelte politiche della Lega. Qui avviene una prima e insanabile rottura della solidarietà. Ma a queste questioni non trova risposta nel PD, la sinistra è lontana, il sindacato inefficace. In questo quadro avviene la rottura tra condizione sociale e politica e trova spazio, non la protesta, ma la convinzione-illusione che il cambiamento sovrastrutturale - fine di Roma ladrona, federalismo, meno immigrati, meno paura per il lavoro e il diverso - la politica astratta dalla lotta sociale, possano rinnovare certezze e speranze di cambiamento. Un popolo abituato alla moderazione, ma non conservatore - la DC veneta era un partito moderato ma non conservatore, anzi costruttore di profondi cambiamenti e innovazione sociale ed economica – entra in un orbita di conservazione con risvolti populisti e pulsioni eversive.
Su questo terreno si rompe il nesso tra la lotta sociale e la politica e si apre la spirale perversa di una democrazia autoritaria che espelle dalle sedi istituzionali il conflitto sociale.
Si ripete inoltre, nel Veneto, un fenomeno permanente: l’incapacità di dare continuità politica ai movimenti. Anche rispetto a questo il Veneto rappresenta uno spaccato più accentuato di una questione nazionale. Negli ultimi anni, il movimento per la pace ha avuto un estensione ed un’intensità fortissime. Oltre alle grandi manifestazioni, anche nell’ultima frazione del paese più sperso sventolavano alle finestre le bandiere arcobaleno della pace. Il movimento era costruito dal basso molto spesso da singoli o associazioni cattoliche, nelle parrocchie e in molti luoghi di aggregazione spontanea. La lotta contro la base USA d Vicenza ha rappresentato l’apice di questo movimento. Le scelte del governo, tentennamenti e titubanze della sinistra hanno provocato una rottura col movimento alimentato vecchie e radicate diffidenze. Si è rotta la continuità tra la politica e il movimento, ricacciato indietro una crescita ed una evoluzione politica proprio per questa rottura. Ma così è stato, sul terreno della lotta per l’ambiente, per il No Mose e per le numerose e ricche esperienze cresciute nel territorio.
La sinistra, in questa fase storica non riesce ad intrecciare questione sociale, lotte operaie, movimenti ecologisti, battaglie per i diritti civili con la politica, non riesce a dare sbocco politico istituzionale a lotte e movimenti che crescono nel territorio.
Nasce da qui l’espulsione del conflitto dalle istituzioni, da qui l’espulsione della sinistra dal Parlamento.
Siamo perciò di fronte a un lavoro di analisi e di ricostruzione di legami organizzativi e di radicamento sociale di lunga durata, che ha bisogno subito però di unità. Non c’è rappresentanza nel Parlamento, e questo è molto grave, ma rimane una fitta rete di donne e uomini militanti nel territorio che si salda con i livelli istituzionali locali e che non può essere dispersa in mille rivoli di diverse e rissose esperienze politiche. Militanza, saperi conoscenza del territorio delle contraddizioni sociali e nei luoghi di lavoro che va messa in rete per riprendere il cammino della lotta e dell’analisi.

giovedì 10 aprile 2008

Bossone querela Corbisiero


-“Ho appreso che ieri la giunta ha dato mandato ai legali per valutare una querela nei miei confronti per alcune dichiarazioni alla stampa,non voglio fare polemiche ma al sindaco Vito Bossone ricordo la frase di un grande illuminista, Voltaire;”non condivido la tua idea,ma darò la vita perché tu possa esprimerla”.Così Giacomo Corbisiero ha risposto all’atto della giunta che ha dato mandato ai legali di denunciare l’esponente della Sinistra Arcobaleno per un articolo apparso nel marzo scorso.Una vicenda che rischia di diventare un caso alla vigilia del voto,anche perché la platea dell’Auditorium della Collegiata,gremita per la manifestazione di chiusura della campagna elettorale ha tributato al giovane esponente di Sinistra Democratica una standing ovation,quando chiudendo il suo intervento,insolitamente soft,ha ricordato questa vicenda.Tra amministrazione e Sinistra si apre un contenzioso,non più solo politico,ma anche giudiziario.Una nuova strategia quella dell’Amministrazione,perché Corbisiero può quantomeno essere contento di stare in buona ed illustre compagnia.Nel mirino dei legali dell’Ente sono già finiti il direttore di uno dei maggiori quotidiani italiani Ezio Mauro e Raffaele Aurisicchio,il parlamentare di Sd anche lui presente ieri alla manifestazione di partito.