Sinistra democratica per il Socialismo Europeo è un movimento politico organizzato che si richiama agli ideali del socialismo e alle tradizioni culturali della sinistra che hanno contribuito alla fondazione della Repubblica democratica. L'obiettivo di avviare un ampio processo unitario, che in prospettiva coinvolga tutta la sinistra italiana nella costruzione di una nuova più grande forza politica, costituisce la ragion d'essere del movimento.

venerdì 16 maggio 2008

Claudio Fava neo coordinatore naz. di SD:Ricominciamo, per la sinistra


Permettetemi di ringraziare in modo non rituale Fabio Mussi, non solo per l’impegno che ha investito in questi mesi difficili nel nostro movimento e nel nostro progetto. Penso che se siamo qui, tutti qui, dopo gli anni trascorsi nei DS, cercando di mantenere ferma in modo convinto e trasparente la nostra posizione politica, se abbiamo superato tre congressi dei Democratici di Sinistra continuando a ritrovarci nel progetto fondativo di un nuovo soggetto di sinistra lo dobbiamo anzitutto a Mussi, al modo in cui ha offerto guida e riferimento, sempre in punta di coerenza, per questo progetto. E dice bene Mussi nel ricordarci che la sinistra ha ancora una funzione importante da svolgere in questo paese. Io aggiungo: a patto di essere spietati con noi stessi, di indagare senza pudore i nostri limiti, di rivedere le categorie interpretative, i linguaggi e le forme organizzative di questa sinistra. Cercando di mettere a frutto quel “3” politico che il nostro progetto ha ricevuto il 14 aprile dagli elettori. In quella bocciatura c’è anzitutto un nostro debito di verità. Verità su un progetto che abbiamo tentato di far passare come la prima prova di un nuovo soggetto politico di sinistra, pur sapendo che Sinistra Arcobaleno, nelle pratiche di alcuni soci fondatori, nel gioco delle reciproche diffidenze, nella vetustà dei linguaggi, non era un soggetto politico, e non era affatto nuovo: era solo un cartello elettorale. Abbiamo mentito, sapendo che ogni nostra rassicurazione sulla cifra comune e condivisa di questo percorso era una gentile ma sfacciata menzogna. Negli stessi giorni della campagna elettorale, mentre dal palco dei comizi ci ritrovavamo tutti insieme per recitare una liturgia rassicurante, alcuni partiti della Sinistra Arcobaleno aprivano il loro tesseramento.Siamo apparsi poco credibili, invecchiati precocemente, costretti a linguaggi, asserzioni, certezze che apparivano abissalmente distanti dal paese reale. Abbiamo continuato ad interpretare il malessere sociale, la povertà diffusa di milioni di italiani con la categoria semplificatoria di “classe” senza comprendere che questa povertà è trasversale, affligge ceti medi e piccola borghesia, operai e salariati. In quella povertà non c’è una classe ma l’insicurezza sociale e la precarietà esistenziale che ha profondamente modificato il senso comune del paese. Solo che in questi quindici anni, mentre il paese precipitava lungo la china delle nuove paure e dei nuovi nemici, noi siamo rimasti a guardare, lasciando alle forze più conservatrici il compito di interpretare e assecondare questo nuovo, devastante senso comune.Eppure più volte abbiamo avuto la possibilità di intercettare la domanda di cambiamento che la società rivolgeva alla sinistra. Dalla provocazione di Moretti a Piazza Navona ai tre milioni a Roma per la manifestazione a sostegno dell’articolo 18, agli autoconvocati di piazza san Giovanni fino ai centomila di Bari per la grande manifestazione antimafia di due mesi fa: abbiamo lasciato che questa richiesta d’un nuovo senso politico, di nuove forme di partecipazioni e di rappresentanza scorresse sotto il nostro sguardo come se si trattasse d’un film, una finzione, un paese che non c’era. Quel paese c’era, e il 14 aprile ci hanno presentato il conto. Abbiamo pagato la diffidenza con cui la sinistra ha interpretato questa fase costituente, abbiamo pagato il nostro linguaggio da piccoli maestri che credevano di parlare ad un paese che non esiste più.Da dove ripartiamo? Da noi stessi, anzitutto. Dal progetto costituente che ci tiene insieme, da questa idea forte e necessaria di una nuova costituente di sinistra. Partendo però da alcuni chiarimenti di merito e di metodo. Intanto, un cantiere per una nuova sinistra si fa con chi ci sta. Non con tutti. Il tema dell’unità di tutte le forze di sinistra è un falso problema, una mitologia, una sovrastruttura. C’è chi ritiene oggi (e forse ha sempre pensato) di dare vita ad una costituente comunista: è un progetto che io rispetto, ma che nulla ha a che fare con il nostro percorso e il nostro punto di arrivo. Sono incompatibili, e non per il repertorio dei simboli e delle identità che pure è cosa che comprendo e rispetto. Ma perché in quel dirsi ad alta voce anzitutto comunisti sento il limite di una sinistra che non accetta di guardarsi dentro, che non vuole rinunziare alle proprie ridotte, alle proprie categorie, alla deriva identitaria, e poco importa se oltre quell’identità c’è un altro mondo, un altro paese, un’altra dinamica di conflitti sociali ed economici.Ecco, è quella loro certezza a separarci. E a farci dire che una costituente di sinistra ha senso se si ripensa con onesta concretezza all’identità stessa della sinistra, alla sua capacità di porsi come motore di rappresentanza e di trasformazione non più di un paese virtuale ma di questo disperato e reale paese in cui viviamo. E qui si arriva a un secondo elemento di chiarezza necessaria: Sinistra Democratica vuole lavorare, con il contributo della sua autonomia, alla costruzione di un nuovo centrosinistra per il governo del paese. Questo vuol dire superare il concetto di una sinistra e di un Partito democratico, ciascuno per sé autosufficiente: in quella autosufficienza, già bocciata dal voto degli elettori, non c’è una scelta politica: c’è solo una fuga. Un nuovo centrosinistra, dunque, che nulla della vecchia esperienza dell’Unione abbia in sé. Superando, da parte nostra, la ridicola contrapposizione tra sinistra di governo e di opposizione. Come scriveva bene Occhetto qualche giorno fa sull’Unità, non esiste una sinistra che sia sempre di governo o sempre di opposizione: la sinistra sta dove gli elettori le hanno offerto di stare, conservando sempre la cifra della propria coerenza e dei propri obiettivi.Dove si collocherà questa nuova sinistra rispetto alle grandi culture politichesi riferimento? La famiglia di Sinistra Democratica resta quella del Socialismo europeo: ma dev’essere intesa come una risorsa, non come un limite o un rifugio identitario. Tanto più che la domanda inevasa in questa campagna elettorale non è a quale famiglia politica avrebbe aderito la Sinistra arcobaleno, se al Pse o alla Sinistra europea. C’era un’altra domanda, ben più urgente: in cosa quel progetto mostrava una vocazione realmente unitaria? In cosa era davvero “nuovo” il nostro progetto? In quali pratiche organizzative, in quali forme di partecipazione, in quali linguaggi eravamo altro da una coalizione di partiti? La risposta è stata spesso solo un balbettio.E’ tempo di dire. E di rivedere anche il nostro rapporto con il PD. E’ stata una scelta consapevole quella di non aderire a quel progetto, e di quella scelta restiamo tutti assolutamente convinti. E se un dialogo deve costruirsi con il Partito democratico, va fatto su posizioni di reciproco rispetto e autonomia. Il problema non è solo la dinamica delle alleanza, ma la politica che essa sottende. Davvero il Pd ritiene con il 33 per cento di poter rappresentare metà di questo paese e di poter puntare al governo dell’Italia? Se così non è, siamo pronti a un confronto. Ma, ripeto, pari dignità reciproca autonomia e coerenza nel dialogo: se quel dialogo non serve a Roma, non esisterà nemmeno nelle periferie. La sinistra, e certamente Sinistra Democratica, non può essere una shopping list dalla quale prelevare voti e alleanze solo quando le coalizioni servono ai governi locali.Tutto ciò, un nuovo cantiere a sinistra e un diverso rapporto con il PD, pretende da Sinistra Democratica la capacità di definire se stessa, il proprio contributo, il proprio orizzonte politico di riferimento. Senza aspettare i congressi degli altri partiti ma sviluppando una propria fase costituente che restituisca al movimento anche quelle dosi di democrazia e partecipazione interna che fino ad oggi sono state carenti. E’ l’unico modo per uscire dalla dimensione della “mozione congressuale”: le compagne e i compagni del comitato promotore, al 90%, provengono dall’esperienza dei DS. I nostri quadri dirigenti, i nostri (pochi) eletti, i mostri militanti: siamo quasi tutti la prosecuzione inerziale della mozione congressuale di due anni fa. Questo non è un limite: è la certezza della nostra superfluità. Sinistra Democratica deve scegliere di essere altro, di aprirsi, allargarsi, contaminarsi con percorsi e storie diverse, di rinnovare profondamente i propri gruppi dirigenti, di proporli come la rappresentazione di una nuova, possibile sinistra che sappia parlare non solo ai reduci di una battaglia congressuale ma a una parte vasta e attenta del paese.A questo servirà l’assemblea nazionale convocata per i primi di luglio: certo, a rinnovare i gruppi dirigenti, a offrire a questo processo un imprinting democratico, ma soprattutto a fare di Sinistra Democratica altro e di più, trasformando ciascuna delle 500 assemblee locali che convocheremo nei prossimi giorni in altrettanti momenti di iniziativa e di proposta politica.Ritrovarci per questa discussione a trent’anni dalla morte di Peppino Impastato forse non ha solo il sapore d’una coincidenza. E’ la dimostrazione che trent’anni fa come oggi, esiste un altro paese fatto di donne e di uomini liberi, che vogliono vivere per cambiare le cose, non per subirle. Né per rassegnarsi alle malinconie del senso comune.

mercoledì 7 maggio 2008

Sinistra Democratica vs Bossone:non accettiamo lezioni di stile da chi calpesta i diritti


Il fatto: lunedì 27 aprile si è svolto il consiglio comunale di lauro per l'approvazione del bilancio, in quella sede per l'ennesima volta protagonista assoluto è stato Bossone,che non ha fatto altro che cimentarsi in una serie di accuse alla sinistra,ai suoi rappresentanti e alle sue idee. In particolar modo egli ha definito "pagliaccio"Sodano in merito alla partecipazione alla marci anticamorra del marzo scorso; ha inoltre accusato Aurisicchio per la sua campagna di verità e di trasparenza sugli atti amministrativi del comune e ha infine minacciato i dipendenti . Copione noto,ma SD non può tacere.

"Le dichiarazioni del puparo Bossone denotano lo stato di assolutà gravità e di emergenza in cui versa l'amministrazione comunale di Lauro". Il coordinatore di Sinistra Democratica Giacomo Corbisiero ha atteso qualche giorno per intervenire sulle dichiarazioni in aula dell'ex primo cittadino Antonio Bossone. Una replica a muso duro,quella dell'esponente della sinistra resa necessaria dal fatto che "questo buffo politicante ritene definitivamente sepolta la sinistra. Non si può tacere di fronte alle minacce rivolte ai dipendenti che da anni lottano per difendere i propri diritti. Non possiamo essere silenti di fronte allle accuse volgari e sterili rivolte al compagno Sodano, paladino della legalità in questa regione. Non possiamo abbassare gli occhi quandi si infanga per l'ennesima volta il compagno Aurisicchio sempre al fianco dei lavoratori e delle giuste cause. Non accettiamo lezioni di stile, di etica e di morale da chi ha portato questom paese allo sfascio.Da chi quotidianamente calpesta i diritti dei cittadini." Non le manda a dire il giovane esponente di SD al capogruppo di maggioranza anzi Corbisiero sgrana un vero e proprio rosario di accuse nei confronti di Bossone. Ma c'è anche un passaggio politico nell'intervento del rappresentante della sinistra condizionato però da queste vicende. "Il processo di costruzione della sinistra continua, ma sia ben chiaro che chiediamo ai rappresentanti del PRC di rompere l'egemonia di Bossone che infanga il loro partito. Auspichiamo una protesta formale da parte loro verso le accuse rivolte alla sinistra e ai loro stessi rappresentanti politici(l'ex senatore Sodano)." dal corriere dell'irpinia

giovedì 1 maggio 2008

I Maggio Festa dei lavoratori


Il nostro è un paese in cui si continua di morire di lavoro, più che in altri paesi; i salari sono bassi, tra i più bassi in Europa; la precarietà una condizione dell’esistenza.E’ anche il paese fondato sulla Costituzione repubblicana che indica nel lavoro il fondamento della Repubblica. La legislazione del lavoro italiana e i contratti hanno alle spalle e come limiti lo Statuto dei Diritti al Lavoro, che ha tradotto lo spirito della Costituzione.Tra la perdita di valore sociale del lavoro così evidenziata dalle morti quotidiane e dal livello delle retribuzioni e la solennità dei valori fondanti della Repubblica c’è una distanza profonda, che parla del vuoto di rappresentanza politica delle ragioni delle lavoratrici e dei lavoratori, sedimentato in tanti anni.Questo è il problema principale squadernato di fronte alla Sinistra politica italiana, che risultati i elettorali hanno amplificato perché l’hanno registrato senza veli. Se lo si affrontasse per quello che è, ci si troverebbe anche di fronte al secondo interrogativo. Come, di fronte a processi economici globali che dunque non sono confinati entro una nazione, si ricostruiscono diritti universali del lavoro, come li si estendono oltre le costituzioni nazionali in cui sono iscritti e dunque qual è la dimensione (almeno europea) della cultura politica della sinistra moderna da ricostruire. E’ la competizione globale e la possibilità di trovare fuori dai confini nazionali lavoro a più basso costo, assenza di vincoli ambientali, eccetera, a giustificare la minaccia-pressione agitata dalle associazioni delle imprese in Italia nei confronti del sindacato e dello Stato per ottenere sgravi fiscali e sostegno con risorse pubbliche, giustificare bassi salari fino ad inaugurare neologismi tanto impropri quanto ideologici come il “salario di produttività”.E’ sempre richiamando la competizione globale che la nuova presidente della Confindustria Emma Marcegaglia, propone la centralità dell’impresa quale valore fondante della Repubblica, con un rovesciamento di paradigma certo anche se non nominato. Al contrario il dibattito politico italiano di oggi ci ripropone dopo le elezioni politiche e il disastroso suggello romano una tesi esattamente opposta: i diritti non sono universali, ma territoriali; anche i salari; la contrattazione nazionale in quanto tale, non moderna.Dunque la competizione sui diritti e la disuguaglianza come entità da enfatizzare sono il pericolo nascosto dietro la perdita di senso di una cultura politica nazionale ed europea, travolta dalla globalizzazione. Tutto ciò descrive un’idea precisa di crescita economica, di modello sociale e relazioni tra le persone. Sappiamo che le incertezze della globalizzazione rischiano di trasformarsi in un’illusione di cittadelle protette, in razzismo e in xenofobia se alle domande di sicurezza in senso generale non arrivano risposte concrete ed efficaci.Il primo maggio del 2008 è Festa Nazionale del lavoro: perché non sia un rito,