Sinistra democratica per il Socialismo Europeo è un movimento politico organizzato che si richiama agli ideali del socialismo e alle tradizioni culturali della sinistra che hanno contribuito alla fondazione della Repubblica democratica. L'obiettivo di avviare un ampio processo unitario, che in prospettiva coinvolga tutta la sinistra italiana nella costruzione di una nuova più grande forza politica, costituisce la ragion d'essere del movimento.

mercoledì 16 aprile 2008

e adesso? si riparte:unità senza se e senza ma


E’ l’unico modo per far fronte all’’onda anomala” che si è abbattuta sulla sinistra. Il gorgo da cui nasce quest’onda anomala è profondo e travalica limiti ed errori immediati commessi in questa campana elettorale. Le ragioni della sconfitta vengono da lontano, vanno analizzate e capite. Per questo occorre subito una scelta d’unità e non solo per evitare di andare ai particolari della ricerca della pagliuzza nell’occhio del vicino. Non possiamo attendere, bisogna rincorrere la storia, ma, nel contempo, occorre un’analisi e una ricerca militante riprendendo la lotta e l’impegno politico per capire, con il nostro popolo, cosa è avvenuto nel profondo della società italiana.
Non “un destino cinico e baro” o un golpe hanno estromesso la Sinistra, e i Socialisti dal Parlamento, ma un voto democratico. Ci hanno affossato l’astensione e il voto utile, ma questo rafforza il fatto che il voto chiude la storia della Prima Repubblica e ci consegna un quadro politico dove il conflitto sociale viene espulso dalle istituzioni.
I Partiti oggi presenti nel Parlamento, a partire dai due maggiori PD, PdL hanno proposto un modello di democrazia che non nasce dal conflitto sociale, che è la base della democrazia, ma sul patto tra produttori, la negazione del conflitto. Si afferma così una “democrazia autoritaria”. La sinistra deve ripartire da questa analisi, fronteggiare questo fenomeno per ricostruire il radicamento oggi devastato, di cui la sconfitta elettorale è solo l’aspetto emergente.
Nel Veneto i fenomeni presenti a livello nazionale appaiono ancora più accentuati: forte è la nostra sconfitta, il consenso al Partito Democratico rimane stagnante, anzi flette del 2% a Padova e Rovigo, si allarga la forbice tra centrodestra e centrosinistra, dirompente è l’affermazione della Lega.
Il fallimento del Partito democratico sull’ipotesi della conquista del consenso su un’opzione moderata è evidente, proprio a Vicenza, dove si era prodotto il massimo di questa proposta: la candidatura Calearo non ha effetto, anzi qui si registra la massima crescita del distacco tra centro destra e centro sinistra, dal 22% del 2006 si passa all’attuale 28%. L’idea perversa di conquistare i lavoratori attraverso i loro padroni sul terreno della subalternità crolla miseramente proprio a Vicenza.
La Lega, che nel 2006 era all’11%, raddoppia e, a Padova e Rovigo, triplica la propria forza elettorale. A Verona sfiora il 33% ed è il primo partito a Vicenza, Verona, Treviso e Belluno.
Bisogna domandarci cosa è successo in questi 24 mesi e quanto di questo terremoto viene da lontano. L’effetto del governo Prodi, le mancate risposte a speranze e aspettative ha avuto un aspetto devastante, con l’emorragia di consenso non solo da Forza Italia e dal centro sinistra, ma anche da sinistra alla Lega. Non siamo di fronte ad un voto di protesta, si è invece radicalizzata una profonda insoddisfazione che va da Roma, all’immigrato, all’erba più verde del vicino Trentino o Friulano. Il Veneto di Galan e della Lega è una Regione in dissoluzione: i comuni di confine con il Trentino e il Friuli promuovono e votano a grande maggioranza referendum per l’annessione alle altre regioni a Statuto speciale.
La crisi ha rotto i meccanismi di solidarietà e coesione sociale ed è crisi d’identità e di certezze dell’avvenire. In una regione dove si è assistito al più ampio e violento cambiamento di condizione sociale, nel rapido passaggio dagli anni ’50 agli anni ’60, dalla miseria dei fittavoli e dei mezzadri e l’emigrazione, alla piena occupazione, con diffuso doppio lavoro, al piccolo e grande conto in banca dell’operaio e del padroncino, dalla stalla a “villettopoli”, si è passati, già negli anni ’90, all’incertezza. La lettura della precarietà fa sì che i padri non siano più sicuri che i figli staranno meglio di loro, come è stato per trent’anni.
Quando la Lega sfonda con il consenso popolare, in modo così diffuso, e in particolare, in modo ancor più marcato, nelle roccaforti della lotta sindacale e del movimento operaio organizzato, come a Valdagno, a Conegliano o a Schio, significa che l’operaio e il piccolo imprenditore pongono ansie e problemi in mano alla Lega. La Lega cresce dove sono in atto profonde ristrutturazioni, alla Marzotto, all’Elettrolux, alla Zoppas, in tante piccole e medie aziende, nella delocalizzazione verso l’est e il terzo mondo che coinvolge operai e piccoli artigiani.
Non siamo di fronte a “gente” che protesta, ma popolo e lavoratori abituati a lottare e far valere diritti. Qui avviene la rottura storica e più drammatica per la sinistra: chi è al centro di duri scontri sociali pone la propria condizione in mano alla Lega, consapevole che la Lega non ha nel proprio programma e nella propria pratica il rapporto tra politica e scontro sociale. Quel lavoratore sa che la Lega, come il PD di Calearo e il PdL di Berlusconi, sono per rispondere alla crisi del potere d’acquisto, con i premi di produttività, che nella piccola azienda, come nella grande azienda in crisi, non sono contrattabili. Sa bene che la lotta alla precarietà non è nelle scelte politiche della Lega. Qui avviene una prima e insanabile rottura della solidarietà. Ma a queste questioni non trova risposta nel PD, la sinistra è lontana, il sindacato inefficace. In questo quadro avviene la rottura tra condizione sociale e politica e trova spazio, non la protesta, ma la convinzione-illusione che il cambiamento sovrastrutturale - fine di Roma ladrona, federalismo, meno immigrati, meno paura per il lavoro e il diverso - la politica astratta dalla lotta sociale, possano rinnovare certezze e speranze di cambiamento. Un popolo abituato alla moderazione, ma non conservatore - la DC veneta era un partito moderato ma non conservatore, anzi costruttore di profondi cambiamenti e innovazione sociale ed economica – entra in un orbita di conservazione con risvolti populisti e pulsioni eversive.
Su questo terreno si rompe il nesso tra la lotta sociale e la politica e si apre la spirale perversa di una democrazia autoritaria che espelle dalle sedi istituzionali il conflitto sociale.
Si ripete inoltre, nel Veneto, un fenomeno permanente: l’incapacità di dare continuità politica ai movimenti. Anche rispetto a questo il Veneto rappresenta uno spaccato più accentuato di una questione nazionale. Negli ultimi anni, il movimento per la pace ha avuto un estensione ed un’intensità fortissime. Oltre alle grandi manifestazioni, anche nell’ultima frazione del paese più sperso sventolavano alle finestre le bandiere arcobaleno della pace. Il movimento era costruito dal basso molto spesso da singoli o associazioni cattoliche, nelle parrocchie e in molti luoghi di aggregazione spontanea. La lotta contro la base USA d Vicenza ha rappresentato l’apice di questo movimento. Le scelte del governo, tentennamenti e titubanze della sinistra hanno provocato una rottura col movimento alimentato vecchie e radicate diffidenze. Si è rotta la continuità tra la politica e il movimento, ricacciato indietro una crescita ed una evoluzione politica proprio per questa rottura. Ma così è stato, sul terreno della lotta per l’ambiente, per il No Mose e per le numerose e ricche esperienze cresciute nel territorio.
La sinistra, in questa fase storica non riesce ad intrecciare questione sociale, lotte operaie, movimenti ecologisti, battaglie per i diritti civili con la politica, non riesce a dare sbocco politico istituzionale a lotte e movimenti che crescono nel territorio.
Nasce da qui l’espulsione del conflitto dalle istituzioni, da qui l’espulsione della sinistra dal Parlamento.
Siamo perciò di fronte a un lavoro di analisi e di ricostruzione di legami organizzativi e di radicamento sociale di lunga durata, che ha bisogno subito però di unità. Non c’è rappresentanza nel Parlamento, e questo è molto grave, ma rimane una fitta rete di donne e uomini militanti nel territorio che si salda con i livelli istituzionali locali e che non può essere dispersa in mille rivoli di diverse e rissose esperienze politiche. Militanza, saperi conoscenza del territorio delle contraddizioni sociali e nei luoghi di lavoro che va messa in rete per riprendere il cammino della lotta e dell’analisi.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Thanks for writing this.